Novanta anni di storie e di passione. L’Olimpia Milano il prossimo 9 gennaio 2026 festeggia i 90 anni di esistenza. Il 7 dicembre 1988, 37 anni fa, nasceva in Georgia, Andrew Goudelock. Goudelock ha giocato a Milano una sola stagione, ma verrà ricordato per sempre per la stoppata che ebbe un ruolo decisivo nella conquista dello scudetto del 2018. Nel giorno del suo compleanno, riviviamo la storia di “The Block”.
Andrew Goudelock era in un angolo. Il suo compito era coprire quella porzione di campo nel caso ci fosse stato uno scarico verso il suo uomo. Lo stesso stava facendo Vlado Micov nell’angolo opposto. Ma la vera azione era nel mezzo. Il playmaker di Trento, il messicano, Jorge Gutierrez, un agonista, aveva bisogno di percorrere il campo in tutta la sua lunghezza nel più breve tempo possibile. Trento era sotto di un punto, 91-90, in una delle più belle partite della storia della finale del campionato italiano, considerando la posta in palio. Coach Maurizio Buscaglia, che aveva guidato la stessa squadra alla finale del 2017 contro Venezia, non aveva più time-out da spendere dopo i tiri liberi del sorpasso definitivo di Curtis Jerrells. Non sapremo mai se, potendo, avrebbe usato il time-out. Qualche volta, rimettere velocemente e rovesciarsi nella metà campo offensiva a caccia di un tiro a difesa improvvisata può essere la soluzione migliore. Quando Gutierrez arrivò all’altezza dell’arco dei tre punti mancavano ancora 3.7 secondi alla sirena. Con un cambio di direzione con palleggio dietro la schiena, andò a tuffarsi letteralmente in un imbuto. Jerrells lo accompagnò verso Arturas Gudaitis. Il centro lituano dell’Olimpia era rientrato velocemente in difesa controllando Dustin Hogue a distanza. Hogue era un giocatore durissimo, ma non un tiratore; quindi, sarebbe stato pericoloso solo se avesse tagliato verso il canestro. E Gudaitis aveva ragione di aspettarlo. Quando Gutierrez cercò il corridoio giusto, Gudaitis creò l’imbuto risucchiandolo. Negli angoli, il playmaker di Trento aveva Joao Gomes da una parte e Ojars Silins dall’altra. Ma ambedue erano scortati, da Goudelock e Micov. E il primo era troppo distante: la linea di passaggio era occupata. Gutierrez saltò con la palla in mano, praticamente in lunetta. Accerchiato da tre uomini: Jerrells, Gudaitis e Kuzminskas. Kuzminskas?


Gara 5 non era necessariamente decisiva. L’Olimpia aveva dominato le prime due partite della finale, ma era stata battuta due volte, in modo simile, a Trento, subendo la grande fisicità avversaria. Trento era una squadra molto coesa, che difendeva forte, tirava poco da tre, ma rubava tanti palloni e catturava tantissimi rimbalzi offensivi. Era una squadra diversa dalle altre come tipologia. E l’Olimpia la soffriva. Aveva tanto talento giovane e una stella emergente del basket europeo: Shavon Shields. Arrivato un anno prima da Francoforte, aveva contribuito alla conquista della finale del 2017 persa con Venezia ma pagando l’infortunio di Dominique Sutton. Dopo una stagione intera a Trento, era ormai un giocatore di livello superiore. Con la serie sul 2-2, l’Olimpia aveva ancora il vantaggio del fattore campo, ma proprio per questo Gara 5 aveva tutte le stimmate della partita decisiva. Non sapremo mai se, avesse perso, l’Olimpia avrebbe poi vinto la sesta battaglia a Trento come poi fece, in modo inequivocabile, conquistando lo scudetto. In ogni caso, quella era la partita da vincere. Per Milano e per Trento.
Gutierrez saltò con la palla in mano, praticamente in lunetta. Accerchiato da tre uomini: Jerrells, Gudaitis e Kuzminskas. Kuzminskas?
L’ultima azione di Gara 5
Mindaugas Kuzminskas aveva avuto un passato da arbitro quando non credeva di avere il talento per diventare un giocatore. Ma quel talento lo sviluppò più avanti e dopo averlo portato allo Zalgiris Kaunas, il club più prestigioso in Lituania, e a Malaga in Spagna, lo proiettò addirittura nella NBA. Ai New York Knicks. Non erano i Knicks migliori della loro storia, tutt’altro, ma erano pur sempre i Knicks. Per un anno e mezzo, Minda tentò di trovare il suo posto nella NBA senza riuscirci. A gennaio del 2018, liberato dai Knicks, sbarcò a Milano. Avrebbe avuto un rendimento altalenante, in parte condizionato dal ruolo: Kuzminskas non era così veloce da poter giocare ala piccola ma non era così forte fisicamente da poter giocare ala forte. Alla fine, era un giocatore atipico, che poteva aiutare una squadra in tanti modi, soprattutto nelle serate in cui il tiro da fuori gli entrava con continuità. Fu decisivo, ad esempio, nella semifinale vinta con Brescia. Ma su quell’ultimo possesso difensivo, Kuzminskas venne tradito dalla voglia di aiutare la squadra. Aveva una buona visione di dove si trovasse il suo uomo, Dominique Sutton, che quella partita l’aveva giocata bene, che era il cuore e l’anima di quella squadra. Sutton non era un tiratore ma lo fu in quella sera. Kuzminskas doveva rimanere con Sutton, anticiparlo se avesse tagliato, restare con lui, costringerlo, se necessario, a prendersi un brutto tiro. Gutierrez era in area, alla ricerca disperata di un compagno cui passare la palla. Ma Kuzminskas non era lì, con Sutton, a rendere impossibile anche quel passaggio. No, Kuzminskas era andato verso Gutierrez. Di fatto ostruendo la strada verso qualsiasi altro movimento che non fosse un arresto e un passaggio. Ma nel farlo aveva lasciato un’autostrada libera per il taglio di Sutton. L’ala di Trento tagliò alle sue spalle. E Gutierrez lo vide.

Gara 5 fu una battaglia fin dal primo minuto. Ma l’Olimpia giocò un primo quarto spettacolare, da 31 punti segnati, chiudendolo avanti di nove. Il massimo vantaggio raggiunse gli 11 punti all’inizio del secondo periodo. Tuttavia, ogni illusione che la gara potesse trasformarsi in una galoppata svanì in fretta. Trento aveva problemi di falli con Shields, particolare da non sottovalutare nella ricostruzione della gara, ma il portoghese Gomes che era con Toto Forray l’uomo più esperto, guidò la rimonta. La seconda tripla di Sutton sulla sirena completò il recupero. A metà partita, Trento era in vantaggio di due punti, 50-48, punteggio alto per una finale così tirata. Nel secondo tempo, Trento tentò l’allungo, volando a più sei. In quel momento fu proprio Kuzminskas (che avrebbe finito a quota 19 punti) sostenuto dal Capitano Andrea Cinciarini a ricucire e riportare l’Olimpia avanti. Un fade-away di Vlado Micov, al suo primo anno a Milano, chiude il terzo quarto. Sventato il tentativo di Trento di costruirsi la fuga, l’Olimpia era avanti 71-66.
Andrea Cinciarini ebbe un ruolo cruciale nello scudetto del 2018. Aveva già vinto quello del 2016, oltre a due Coppe Italia, la seconda da protagonista assoluto. Poi aveva vinto anche due Supercoppe. Dopo il primo anno, era stato nominato Capitano, una carica cui teneva moltissimo. Il suo ruolo all’interno della squadra andò progressivamente crescendo. Nel 2018, a 32 anni, visse però la stagione migliore della carriera. Aveva cominciato come cambio di Jordan Theodore, MVP della Supercoppa di Forlì, ma dopo la precoce eliminazione dalle Final Eight di Coppa Italia, Theodore si infortunò e Cinciarini diventò di fatto il playmaker titolare, supportato da Jerrells, impiegato come sempre in due ruoli. Uno scudetto da protagonista, anche rispetto alla vittoria del 2016, era quello che voleva. In Gara 5 dimostrò più di tutti quanto lo volesse. In 22 minuti sul campo, con problemi di falli, lui come Kaleb Tarczewski, segnò 15 punti con sei su otto dal campo. Nel quarto periodo avrebbe avuto un ruolo chiave.
La storia di Curtis Jerrells all’Olimpia è ricca di grandi giocate, eroismi. Quando Goudelock gli passò la palla, Piano A evaporato, sentì che l’Olimpia aveva bisogno di lui una volta ancora
L’ultima azione offensiva dell’Olimpia risolta da Curtis Jerrells
Dopo una tripla di Kuzminskas e un canestro di Jerrells, l’Olimpia aveva otto punti di vantaggio e l’inerzia della gara tutta a proprio favore. Ma a quel punto cominciò tutta un’altra partita, un duello spettacolare, a tratti surreale, tra tutta l’Olimpia e un solo avversario: Shavon Shields. Con una tripla e due tiri liberi, Shields piazzò il 5-0 che riaprì la gara. La prima risposta di Milano venne proprio da Cinciarini, un canestro acrobatico che Shields cancellò con un’altra tripla. Ovvero, disavanzo ridotto a due punti. La seconda risposta arrivò dalla Lituania: Arturs Gudaitis (19 punti, sette rimbalzi, nove su dieci dalla linea) completò il gioco da tre punti del nuovo più cinque. Ma poi Dustin Hogue segnò dalla lunetta l’unico punto di Trento nel volatone conclusivo che non appartenesse a Shields che subito dopo aggiunse un’altra tripla. Il vantaggio dell’Olimpia era diventato di un solo punto. La terza risposta fu ancora di Gudaitis: due tiri liberi e più tre. Shields dalla parte opposta prese fallo, andò in lunetta, segnando un solo tiro libero ma il rimbalzo non venne controllato da nessuno e il possesso fu assegnato a Trento. Dall’angolo, il jumper di Shields – ovviamente, lui – sancì la parità. A 26 secondi dalla fine, Goudelock (16 punti, cinque su cinque da due) con un fade-away dal cuore dell’area restituì all’Olimpia due punti di vantaggio. L’ultimo time-out Coach Buscaglia lo spese per la risposta finale.

Con 26 secondi sul cronometro, Trento avrebbe potuto tenere palla, mangiare tempo e giocarsi la partita sul proprio tiro. Invece la scelta fu per un tiro rapido. La scelta la fece Shavon Shields. Ricevuta palla poco oltre la linea dei tre punti, aggredito da Jerrells, fintò una penetrazione, tornò un passo indietro, mandò fuori tempo il suo difensore. E lanciò la tripla del sorpasso, 90-89. Per lui ci furono 27 punti in 27 minuti con 10 su 14 dal campo. 16 secondi alla fine. Panico.
Toccò a Simone Pianigiani, allenatore dell’Olimpia in quella stagione, spendere l’ultimo time-out e avanzare la palla nella metà campo offensiva. Anche l’Olimpia avrebbe potuto mangiare secondi e giocarsi la partita – forse la stagione – su un ultimo tiro. Ma in quei momenti trovare un buon tiro, lasciarsi l’opzione del rimbalzo d’attacco, è molto più apprezzato rispetto alla teorica necessità di usare il cronometro. Micov, il giocatore più esperto, un mix diabolico di lucidità e spregiudicatezza, eseguì la rimossa mettendo la palla nelle mani di Goudelock, il miglior attaccante, tiratore, il miglior giocatore di uno contro uno e anche il più adatto a procurarsi un fallo. Goudelock era marcato da Sutton. Più alto di lui, altrettanto rapido, un difensore, un altro agonista. Cercò di batterlo dal palleggio una volta, dovette tornare indietro, riprovarci, ma senza successo. Attraversò l’area senza uno spiraglio per un tiro, senza subire un fallo. Nell’angolo Kuzminskas era totalmente anticipato da Silinis. Impossibile passargli la palla. Ma nel frattempo, Jerrells aveva liberato il lato, era scappato oltre la linea dei tre punti fornendo l’opzione estrema a Goudelock. Che gli passò la palla. A difendere su Jerrells era Shields.
La storia di Curtis Jerrells all’Olimpia è ricca di grandi giocate, eroismi. La sua reputazione di “Clutch Shooter” va persino oltre il rendimento in campo. Jerrells ha giocato in alcune delle migliori squadre dell’Olimpia di quelle stagioni. Nel 2014, quando arrivò ad un passo dai playoff e il suo rendimento nelle Top 16, nel generare sette vittorie consecutive che lanciarono la squadra nei playoff, fu determinante. Jerrells era il cambio di Hackett, il cambio di Langford, il cambio di Gentile. Tutti e tre ebbero problemi fisici in quel periodo, non Jerrells. Poi segnò il canestro della vittoria di Siena che sventò il pericoloso di perdere la finale creando le premesse per vincere il titolo in Gara 7 dove fu ancora decisivo nella rimonta dell’ultimo quarto. Tornato a Milano in quella stagione 2017/18, ebbe altri momenti eccezionali come in una vittoria da 30 punti personali a Valencia. Jerrells a Milano era l’uomo delle grandi vittorie. Quando Goudelock gli passò la palla, Piano A evaporato, sentì che l’Olimpia aveva bisogno di lui una volta ancora.
Shields usò le braccia lunghe, la taglia fisica superiore per rimontare e impedire a Jerrells di tirare subito da tre. Gli tolse il tiro ma Jerrells si era già posizionato in modo da poterlo attaccare dal palleggio, usando la mano sinistra
Il clutch-play di Curtis Jerrells
Shields fu bravissimo ad eseguire il close-out alla perfezione. Sul passaggio fuori di Goudelock, usò le braccia lunghe, la taglia fisica superiore per rimontare e di fatto impedire a Jerrells di tirare subito da tre. Ma Curtis era anche un giocatore dotato di rara intelligenza. Shields gli tolse il tiro ma lui si era già posizionato in modo da poterlo attaccare dal palleggio, usando la mano sinistra. “Avevo un allenatore che mi spiegò quanto fossi prevedibile – raccontò una volta – quando palleggiavo verso destra era per eseguire un arresto e tiro e quando palleggiavo verso sinistra era per andare fino in fondo”. Ma in quella circostanza, andare fino in fondo era quello che voleva. Con il primo palleggio di fatto superò Shields, con il secondo si allontanò di mezzo metro per crearsi lo spazio per attaccare il ferro. Hogue, ravvisando il pericolo, abbandonò Gudaitis e si mosse verso di lui. Shields lo toccò da dietro, Hogue con il corpo. Jerrells non riuscì a finire il gioco, ma prese il fallo con 6.5 secondi da giocare. Trento avrebbe protestato quella chiamata. Hogue manifestò stupore, ma il fallo era stato chiamato a Shields, alle spalle di Jerrells, due contatti consecutivi anche se non pesanti. Per Shields era il quinto fallo. Nell’ultimo assalto, non ci sarebbe stato. Jerrells in lunetta era chiamato al controsorpasso.


Non ci furono esitazioni. Non ci furono dubbi o brividi. Le due parabole lanciate da Jerrells furono perfette. La palla corse verso la retina senza lasciare margini di incertezza. La sicurezza di Jerrells nell’eseguire due tiri liberi sotto il peso della pressione è l’aspetto più sottovalutato di questo finale di partita. Sutton raccolse la palla, sapendo che non c’erano time-out da utilizzare, e mise la palla rapidamente nelle mani di Gutierrez. Shields in panchina si portò la testa fra le mani rifiutandosi di guardare. Gutierrez, inseguito da Jerrells, si mosse da destra verso sinistra, poi superò la metà campo, con una virata andò verso la lunetta, scortato da Jerrells, atteso da Gudaitis e maldestramente accolto da Kuzminskas. L’ala dell’Olimpia temeva il coast-to-coast del messicano e ignorò completamente Sutton. Quando questi tagliò in mezzo all’area, Gutierrez lo vide e i suoi occhi si accesero. Gli passò la palla per il canestro più facile della sua carriera. E il più importante. Sutton non vide nulla di quello che stava per fare Goudelock.
Andrew Goudelock da Atlanta era detto Mini-Mamba. Il soprannome che ereditò da Kobe Bryant durante il suo periodo ai Lakers. Aveva questa capacità di segnare tanto in pochi minuti che gli consentì di vivere spezzoni di gloria nella NBA e di tornarci dopo il primo tentativo. A Milano sarebbe dovuto arrivare nel 2013. Non si trovò l’accordo perché Kazan con un’offerta altissima lo convinse a giocare in Eurocup. Al suo posto, l’Olimpia scelse proprio Jerrells. Goudelock da Kazan andò al Fenerbahce, a Houston, in Cina, al Maccabi. E finalmente trovò la strada per Milano. La sua stagione fu macchiata da qualche infortunio che gli impedì di prendere ritmo, ma ebbe partite sensazionali per quella sua caratteristica di poter segnare da tre senza problemi e di attaccare uno contro uno per chiudere con un floater masterizzato alla perfezione. Goudelock era solo un giocatore di statura limitata e non riuscì mai a diventare un point-guard, questo il suo problema. Ma nei playoff fu sensazionale. “Vogliamo vincere per una questione di giustizia. Vogliamo vincere perché abbiamo superato mille difficoltà, infortuni, ma siamo arrivati qui e nessuno lo merita più di noi”, disse. Goudelock era un attaccante straordinario, ma nessuno si sarebbe mai aspettato da lui la giocata difensiva dell’anno. Nessuno si sarebbe aspettato “The Block”.
Come Bob McAdoo nel 1989.
Goudelock era un attaccante straordinario, ma nessuno si sarebbe mai aspettato da lui la giocata difensiva dell’anno. Nessuno si sarebbe aspettato “The Block”. Come Bob McAdoo nel 1989
La storia di Andrew Goudelock
McAdoo era stato capocannoniere nella NBA. A Milano, sarebbe stato il primo realizzatore per media punti nella storia del club in Europa e in Italia. McAdoo poteva anche tirare giù 15 rimbalzi. E qualche volta stoppare come un intimidatore. Ma McAdoo non era un difensore puro. McAdoo non era il giocatore da cui ti aspetteresti quello che fece a Livorno nel 1989 in Gara 5. Un tuffo da dietro, che l’avrebbe portato a finire la sua scivolata in mezzo al pubblico assiepato sulla linea di fondo e tra i fotografi, per togliere ad Alberto Tonut due punti sicuri. Ma McAdoo lo fece, “feci qualcosa che non avrei mai pensato di fare e che non avevo mai fatto prima”. Goudelock aveva eseguito due stoppate fino a quel momento nella stagione 2017/18. Due stoppate che nessuno ricorda, due giocate in parte casuali, nel traffico, una palla spazzata via, verso la linea di fondo. Tutto normale. Ma quando vide Sutton correre verso il canestro tutto solo, quando vide Gutierrez in volo, quando vide la palla partire dal playmaker al tagliante, dimenticò Gomes nell’angolo. Fu un istinto animale, il suo. Un passo velocissimo verso Sutton ma già pronto a spiccare il salto. Quando Sutton ricevette palla salendo per l’appoggio semplice, Goudelock era già lì. Goudelock era già in aria. Goudelock aveva capito che avrebbe dovuto stopparlo. Istinto. Non puoi ragionare in quegli attimi. Puoi solo seguire la memoria dei tuoi muscoli. Il tuo istinto. Goudelock saltò e respinse il tiro di Sutton, dieci centimetri più alto di lui – ma non era più una questione di taglia fisica, era una questione di tempismo -, completando una delle più grandi giocate nella storia dell’Olimpia.
Come Bob McAdoo nel 1989.
The Block.

