Novanta anni di storie e di passione. L’Olimpia Milano il prossimo 9 gennaio 2026 festeggia i 90 anni di attività. Uno dei più grandi trionfi di questa storia risale alla stagione 1986/87 quando l’Olimpia tornò a vincere il titolo europeo nella finale di Losanna. Ma la realtà è che fu un trionfo costruito per una stagione intera. Forse di più. E non sarebbe stato possibile senza la rimonta sull’Aris Salonicco del 6 novembre 1986.

Il 6 novembre 1986 poteva essere l’ultimo giorno di un ciclo, poteva essere il giorno in cui la storia avrebbe potuto prendere una piega drammatica, cancellare il futuro. “Fossimo andati fuori magari McAdoo se ne sarebbe andato”, rifletteva anni dopo Mike D’Antoni. Il 6 novembre 1986 fu quello della rimonta impossibile. Forse però i primi a credere che non fosse così impossibile furono gli avversari. L’Aris Salonicco era una forza emergente del basket europeo come avrebbe dimostrato nelle stagioni seguenti, firmando un’era del basket ellenico. Nick Galis, la superstella della squadra, a fine stagione avrebbe portato la Nazionale al titolo europeo, il primo della sua storia, in combinazione con l’altro fenomeno, il playmaker Panagiotis Iannakis. La terza stella era il bosniaco Slobodan Subotic, ala piccola, tiratore micidiale. Ma l’Aris, dopo aver smantellato l’Olimpia 98-67, nella prima partita del secondo turno eliminatorio della Coppa dei Campioni, aveva stanziato un premio di cinque milioni di dracme per i giocatori, una cifra importante per l’epoca, se avessero eliminato una delle grandi favorite della competizione. Partendo da più 31 sembrava un premio superfluo, quasi un regalo. Come puoi rimontare 31 punti in 40 minuti?

L’Olimpia era convinta di aver subito un torto la stagione precedente quando non aveva raggiunto la finale di Coppa dei Campioni in un rocambolesco epilogo del girone eliminatorio. Lo Zalgiris vinse a Madrid raggiungendo il Cibona Zagabria in testa alla classifica, una vittoria davanti all’Olimpia che aveva il vantaggio netto negli scontri diretti. Aveva perso di uno a Kaunas e poi vinto nettamente a Milano nel ritorno. Ma quella sconfitta pesava. L’Olimpia superò il Maccabi ma per agganciare il secondo posto aveva bisogno di una sconfitta dello Zalgiris a Madrid. Non arrivò e l’Olimpia fu eliminata. “Avevamo battuto le due finaliste nettamente”, ricorda Coach Dan Peterson. In sostanza, era certo che la sua fosse la squadra migliore quell’anno e che la Coppa dei Campioni fosse scivolata via. Peterson aveva già pensato di ritirarsi nell’estate del 1986, ma come disse il suo successore “in pectore”, Franco Casalini, non si sarebbe mai ritirato senza la Coppa dei Campioni. “L’arrivo di McAdoo ci diede grande fiducia di potercela fare”, ricorda ancora Peterson. Venne firmato alla vigilia del debutto stagionale, insieme al rookie Ken Barlow. L’Olimpia superò il primo turno eliminatorio e trovò l’Aris nel secondo. Il pronostico era a senso unico, ma in generale la squadra greca venne incredibilmente sottovalutata.

Bob McAdoo nella storica partita con l’Aris

Peterson sognava di portare McAdoo a Milano da qualche anno. Ne aveva parlato con il suo allenatore a North Carolina, Dean Smith, ma i tempi non erano maturi. McAdoo aveva avuto una prima parte di carriera scintillante a Buffalo, era stato MVP e tre volte capocannoniere della NBA. Poi era entrato in una spirale negativa, fatta di cattive squadre, squadre egoiste, in cui la sua reputazione si era degradata: a New York, a Detroit, a Boston. Fino a quando, venne recuperato da Pat Riley per i Los Angeles Lakers. Fu una mossa a sorpresa: gli chiesero di partire dalla panchina, ruolo mai amato, di essere un grande realizzatore nel secondo quintetto. I Lakers vinsero due titoli e la carriera di McAdoo risultò rivitalizzata, vendicata. Ma nel 1985, dopo il secondo titolo, i Lakers lo lasciarono libero. Bob era amareggiato, sfiduciato. Ma non ancora pronto ad accettare l’ipotesi europea. Spese un anno a Philadelphia. Poi rimase di nuovo senza contratto. Dean Smith lo chiamò e gli suggerì di venire in Italia. Peterson aspettava solo quell’indicazione.

Lo scouting, a quei tempi, non era quello di ora. Nel 1986 se avessi voluto conoscere gli avversari avresti dovuto andarli a vedere di persona. “Erano tempi diversi – ricorda Peterson -: quello che sapevamo era il roster dell’Aris inviato dalla FIBA. Non conoscevo il loro allenatore, Ioannis Ioannidis; Giannakis per me era un illustre sconosciuto; Galis? Sì, aveva giocato a Seton Hall, aveva origini greche, era normale giocasse per loro. Poi andiamo lì, fuori forma, perché avevamo cominciato la preparazione per ultimi come facevamo sempre, in un clima caldissimo, arbitri spaventati, abbiamo giocato male, loro erano ispirati e abbiamo perso di 31. Anzi erano 37 poco prima della fine. Un disastro”. 98-67, fu il finale: Galis segnò 44 punti. I giocatori dell’Aris esultarono come se non ci fosse stata una Gara 2 da giocare. Ma per una settimana furono processi sui media, pronostici sulla rifondazione. Da chi sarebbe ripartita l’Olimpia? Nessuno pensava fosse possibile ribaltare 31 punti di scarto. A parte l’Aris e il suo premio partita. E a parte il pubblico di Milano.

“Se pensate di poter ribaltare lo scarto, non pensate di poterlo fare in fretta. Basta rimontare un punto al minuto”

Coach Dan Peterson

La società si appellò al pubblico. Il proprietario Gianmario Gabetti in testa; il general manager Toni Cappellari a ruota. Quella era una squadra nella quale – critica a parte – tutti avevano una fiducia incrollabile. E infatti nella bomboniera di Lampugnano c’erano 9.000 spettatori il 6 novembre 1986. Tutto esaurito per una partita che sulla carta avrebbe dovuto essere priva di contenuti agonistici. Peterson aveva parlato alla stampa il giorno prima ricordando che la sua era una squadra da contropiede e che avrebbero dovuto alzare il ritmo ma prendendo i tiri giusti. “In realtà non dormivo da una settimana, non avevo parlato alla squadra, e la domenica precedente avevo lasciato che fosse Casalini a guidare la squadra”. L’Olimpia vinse 109-94 a Milano contro Udine. Ken Barlow segnò 32 punti.

Ma il 6 novembre la pressione sulla squadra era pazzesca: per la prima volta una squadra italiana rischiava di non prendere parte al girone finale di Coppa dei Campioni ed era una squadra costata tanto. La società aveva fatto uno sforzo economico importante per portare a Milano i due americani Bob McAdoo e Ken Barlow. L’eliminazione forse avrebbe chiuso il ciclo di quel gruppo in anticipo. Meneghin aveva quasi 37 anni; D’Antoni e McAdoo uno in meno. Peterson chiese alla squadra di vincere, semplicemente. “Volevo farlo per noi stessi, per la società, gli sponsor, i tifosi”, dice. Sarebbe stato un modo onorevole di uscire dalla competizione. Ma c’era questa voglia, latente, di rimediare a tutto, anche alla tragedia di Salonicco. “Se volete ribaltare lo scarto – disse Peterson ai suoi – non pensate di poterlo fare in fretta. Dobbiamo recuperare un punto al minuto”. Questo era lo slogan della serata. Un punto al minuto.

Nick Galis, la grande stella dell’Aris, davanti a Mike D’Antoni

McAdoo notò subito che Meneghin non scherzava. Meneghin scherzava sempre in spogliatoio. Non quella sera. McAdoo lo osservava sempre perché, quando firmò per l’Olimpia, chiese di vestire la maglia numero 11, la stessa che aveva indossato nella NBA, a Buffalo, a New York, ai Lakers, a Philadelphia la stagione precedente. Meneghin era il giocatore più altruista del mondo, poteva sacrificare tutto per la squadra, tranne il numero. McAdoo virò sul 15 con grande perplessità. Gli spiegarono che l’11 apparteneva ad un giocatore speciale. Impiegò poco per capire che era speciale davvero. Bob non aveva familiarità con il concetto di differenza punti, ma sapeva che dovendo vincere con 31 punti di scarto, contro una squadra forte, avrebbe dovuto giocare una partita diversa dal solito. “È stata l’unica volta in cui non ho mai pensato a segnare, ma solo a tentare di prendere ogni rimbalzo, stoppare ogni tiro”, racconta McAdoo.

“È stata l’unica volta in cui non ho mai pensato a segnare, ma solo a tentare di prendere ogni rimbalzo, stoppare ogni tiro”

Bob McAdoo

Mike D’Antoni, Roberto Premier, Ken Barlow, Bob McAdoo, Dino Meneghin facevano parte del quintetto iniziale dell’Olimpia. Panagiotis Iannakis, Nick Galis, Slobodan Subotic, Will Jackson, Vassilis Lipiridis erano i primi cinque dell’Aris. L’Olimpia disputò una gara difensiva perfetta. D’Antoni cancellò Galis, tenendolo a 16 punti (l’anno seguente sempre contro l’Olimpia a Salonicco ne fece 50!). Milano partì 15-6 poi 31-22. Ma con quattro minuti da giocare nel primo tempo, l’Aris era ancora lì a meno otto. L’Olimpia chiuse il tempo con Premier a crivellare il canestro ricostruendo 14 punti di vantaggio. Ne mancavano ancora 17, ma a quel punto l’impresa era realizzabile. Nel secondo tempo, ci fu un assalto all’arma bianca. Un break di 25-12 portò l’Olimpia a più 27. “Eravamo avanti bene, non ricordo di quanto – racconta Premier, fedele alla sua reputazione di giocatore ignaro di punteggio e tempo -, forse 31, ero in contropiede da solo, forse avevo qualcuno accanto a me, ma non mi diede fastidio. Eppure, sbagliai. Di quella partita ricordo solo quell’errore in contropiede. Poi rivendendola, so di aver dato il mio sostegno alla causa, non solo per i punti”.

“Ero in contropiede da solo, forse avevo qualcuno accanto a me, ma non mi diede fastidio. Eppure, sbagliai. Di quella partita ricordo solo quell’errore in contropiede”

Roberto Premier

Meneghin fu il primo a scollinare oltre il +31, due volte. Infine, Premier (20 punti) chiuse i conti. Sul più 34, Peterson spese l’ultimo time-out ma in quei momenti D’Antoni sapeva controllare la palla, il ritmo, il cronometro come nessun altro. L’Olimpia vinse la ripresa di 20 punti, un punto al minuto vincendo 83-49, più 34. Miracolo completato.

Miracolo? Qualcuno ha parlato di miracolo? Peterson lo fece. Lo disse anche a McAdoo dopo la partita. Ma McAdoo non voleva sentir parlare di alcun miracolo. Era convinto che i silenzi cupi di Peterson nella settimana precedente fossero solo un segno di fiducia, non il pessimismo di chi sente di aver rovinato tutto. Improvvisamente, la squadra vecchia, decrepita, da rifondare, era tornata la Banda degli Invincibili che ha segnato un’epoca. McAdoo tirò 4 su 14, 29%, ma giocò – secondo lui – “la partita più intensa della mia carriera”.

Roberto Premier segnò 20 punti contro l’Aris

“Quella partita – ricorda Meneghin – racchiude la sintesi di quello che è lo spirito Olimpia: sei con le spalle al muro, sembra che non ci sia più niente da fare, e invece vai a scavare fino in fondo e trovi risorse che neppure sapevi di avere. Quella serata è stata una comunione di intenti tra giocatori, allenatori, tifosi, tutto”. L’Olimpia non vinse la Coppa dei Campioni il 6 novembre 1986, ma salvò la partecipazione alla stessa competizione. Senza la rimonta non ci sarebbe stato il girone finale, controllato bene, non ci sarebbe stata la finale di Losanna, contro il Maccabi, e non ci sarebbe stata la Coppa Intercontinentale seguente, forse neppure la Coppa dei Campioni del 1988, cui pure si qualificò grazie alla conquista del titolo italiano. La rimonta sull’Aris è diventata parte della storia del club, una delle partite più famose d’Europa, “un momento magico”, secondo Mike D’Antoni. Lo sarebbe stata a prescindere. Ma il successo di Losanna, la conquista del titolo, le ha dato un significato completo, totale, indimenticabile.

Salonicco, 30 ottobre 1986
AS Áris Salonicco – Tracer Olimpia Milano 98-67 (60-34)
AS Aris Salonicco (Coach: Ioannis Ioannidis): Galis 44, Yannakis 6, W.Jackson 6, Filippou 10, Subotić 18, Romanidis, Lipiridis 4, Doxakis 10. 
Tracer Olimpia Milano (Coach: Dan Peterson): D’Antoni 16, Premier 13, McAdoo 26, Meneghin, Barlow 11, Gallinari, Bargna 1, F.Boselli, Pittis, Governa.

Milano, 6 novembre 1986
Tracer Olimpia Milano – AS Áris Salonicco 83-49 (44-30)
Tracer Olimpia Milano (Coach: Dan Peterson): McAdoo 12, D’Antoni 9, Meneghin 12, Bargna 8, Barlow 12, Premier 20, F.Boselli 9, Gallinari 1, Pittis, Governa.
AS Áris (Coach: Ioannis Ioannidis): Lipiridis, Yannakis 15, Galis 16, Subotić 7, Filippou 4, Romanidis 2, W.Jackson 5, Doxakis, Tsitakis, Stamatis.

Bob McAdoo a canestro contro l’Aris

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