Secondo la ricostruzione storica, nel 1983 il Palazzo della Pace e dell’Amicizia, al Pireo, la zona portuale di Atene, venne costruito ispirandosi nella sua conformazione al Palasport di San Siro, l’impianto sportivo al coperto più capiente che Milano abbia mai avuto. Non ci sono dubbi che sia così: ambedue gli impianti presentano un tetto in forma concava. Probabilmente questo vezzo estetico determinò nel 1985 il crollo della copertura del cosiddetto Palazzone, sotto il peso di una nevicata di colossali dimensioni. Di lì a poco, San Siro venne abbattuto. Il gemello di Atene invece è vivo e vegeto. L’Olimpia ci ha giocato 15 gare ufficiali, di EuroLeague.

Nella storia del basket greco questo palazzo che sorge sul mare, a brevissima distanza dallo stadio di calcio del club gemello, ha un ruolo centrale: nel 1987 infatti ospitò tutte le partite dei campionati europei, ovvero il momento in cui la nazionale ellenica è diventata così grande cestisticamente parlando da conquistare la medaglia d’oro.

Fino a quel momento, la Grecia non aveva avuto un ruolo significativo a livello internazionale. La sua prima partecipazione ai Mondiali era avvenuta solo un anno prima in Spagna e si era conclusa con il decimo posto; alle Olimpiadi avrebbe debuttato solo nove anni più tardi ad Atlanta; agli Europei vantava solo un bronzo fasullo nel 1949 quando la competizione si disputò in Egitto e venne boicottata praticamente da tutte le nazionali europee. Il miglior risultato per il resto era stato un ottavo posto. Due anni prima in Germania non era neppure tra le squadre qualificate. Ma in quel momento la Nazionale aveva cambiato passo, guidata dalla prima generazione di fenomeni che il movimento ellenico abbia mai espresso: la stella delle stelle era Nick Galis.

Non ha mai giocato nell’Olympiacos ma nel palasport dell’Olympiacos, Nick Galis ha determinato la prima storica vittoria della sua Nazionale

Galis veniva da una famiglia greca emigrata sulla costa est degli Stati Uniti. Lui stesso era nato a Union City nel New Jersey ed era rimasto in zona per frequentare il college, a Seton Hall, diventando un realizzatore incredibile. Venne scelto dai Boston Celtics nei draft NBA, ma era considerato un playmaker troppo piccolo e non abbastanza veloce, anche se nella stagione 1978/79 fu il terzo realizzatore di tutti gli Stati Uniti a livello collegiale in una graduatoria capeggiata da Larry Bird. Inoltre, ebbe un infortunio che spinse i Celtics a rinunciare a lui. Piuttosto che riprovarci in seguito, Galis attraversò l’oceano e firmò per l’Aris Salonicco, allora la squadra più quotata in Grecia. Insieme al compagno anche di Nazionale, Panagiotis Giannakis, aveva già vinto quattro dei suoi otto titoli nazionali quando andò in campo al Pireo per giocare gli Europei del 1987.

In quel momento era già una star in patria e uno dei più grandi realizzatori mai visti in Europa. E l’Aris con lui e Giannakis aveva messo alle corde l’Olimpia nel secondo turno della Coppa dei Campioni 1986/87. Quella rocambolesca serie lo portò all’attenzione di tutta Europa creando un legame fatto di rivalità e rispetto con l’Olimpia e i suoi giocatori di allora. Nel 1987 Galis aveva 30 anni, ma per lui il meglio doveva ancora venire: l’Aris l’anno seguente raggiunse le Final Four di Coppa dei Campioni. In seguito, avrebbe finito la carriera assieme al “gemello” Giannakis al Panathinaikos.

Il 3 giugno del 1987, Galis segnò 44 punti nella vittoria della Grecia sulla Romania al debutto. La squadra aveva tra le sue stelle anche l’ala del Panionios, Fani Christodolou, e il centro dalle braccia lunghissime, Panagiotis Fasoulas, che giocava al Paok ma poi avrebbe trovato la sua casa permanente proprio all’Olympiacos (infatti capita venendo qui di trovarlo tra gli spettatori). Il giorno successivo, ne segnò altri 44 alla Jugoslavia, che contava anche su Drazen Petrovic prima che andasse al Real Madrid e poi nella NBA. Ma poi le cose si complicarono: la Grecia perse contro la Spagna e poi contro l’Unione Sovietica (che un anno dopo avrebbe vinto le Olimpiadi a Seul). Galis chiuse la prima fase a 37.5 punti di media, ma la Grecia chiuse il proprio girone al quarto posto. E qui entra in gioco l’Italia.

Il simbolo di Atene

La Nazionale allenata da Valerio Bianchini aveva condotto una prima fase perfetta vincendo cinque gare su cinque. Tra i giocatori figurava Alberto Tonut, il padre di Stefano. L’Italia era prima, ma il premio per i cinque successi non era un granché. Avrebbe dovuto affrontare i padroni di casa davanti a 17.000 spettatori in una gara ad eliminazione diretta. Trascinata dall’entusiasmo della folla, la Grecia vinse nettamente, dominando la partita fin dalle prime battute. Galis segnò 38 punti, rebus irrisolvibile per gli azzurri (bisogna ricordare che l’Olimpia fresca di titolo europeo non aveva alcun giocatore in Nazionale, salvo considerare Piero Montecchi, che era stato appena acquistato da Reggio Emili ma non aveva ancora mai giocato a Milano; pesa soprattutto l’assenza di Roberto Premier anche se Antonello Riva fu in tutte le gare il miglior realizzatore).

Battuta l’Italia, la Grecia diventò la squadra del destino. Contro la Jugoslavia di Drazen Petrovic ma anche Vlade Divac, Toni Kukoc, Zarko Paspalj, Dino Radja, rimontò da meno dieci all’intervallo imponendosi nel finale con altri 30 punti di Galis. La finale sui legni del Pireo è stata una delle più grandi battaglie cestistiche nella storia del basket europeo. Una battaglia durissima che la Grecia vinse dopo un tempo supplementare 103-101. L’Unione Sovietica non aveva almeno due dei giocatori che l’avrebbero portata all’oro olimpico l’anno seguente (Arvydas Sabonis e Rimas Kurtinaitis), ma aveva Marciulionis, Volkov e alcuni elementi della vecchia guardia compresi i centroni Volodia Tkachenko e Sergey Belostenny, contro cui Fassoulas segnò comunque 12 punti. La Grecia giocò una partita commovente, di rara intensità. Nel tempo supplementare, Galis segnò i quattro punti del sorpasso e della vittoria, prima dalla lunetta poi con un tiro acrobatico da sotto. Finì la serata con 40 punti diventando per sempre un eroe nazionale. Tutto questo qui, nel palasport della Pace e dell’Amicizia del Pireo.

Christs Stavropoulos è stato per 19 anni all’Olympiacos

Per due persone dell’Olimpia viaggiare verso il Pireo è come tornare a casa: il general manager Christos Stavropoulos ha trascorso nel club 19 anni partendo da accompagnatore nelle Final Four di Roma 1997 quando l’Olympiacos vinse il primo titolo europeo; Milan Tomic è rimasto 13 anni, prima come giocatore e poi come allenatore. Arrivò da Belgrado che era un ragazzino, è diventato un cittadino greco ed una leggenda del club, sempre applaudito e ben accolto ogni volta che arriva. Nella galleria dell’arena c’è un murales con foto d’epoca tra cui quella di Tomic che al McDonald’s Open del 1998, a Parigi, marca Michael Jordan, gli occhi sgranati, la concentrazione stampata sul volto. È una foto che vale una carriera.

Milan Tomic nella foto all’interno del palasport che lo ritrae a marcare Michael Jordan

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