Carlo Della Valle da Alba, sangue nobile nelle vene, faceva parte di una generazione di talenti del basket italiano, quelli nati nei primissimi anni ’60 di cui il faro era Antonello Riva. Ma c’erano anche Walter Magnifico, Ario Costa, Alessandro Fantozzi per citarne alcuni. Della Valle era il meno “elegante”: sembrava, anzi era, un playmaker arrivato direttamente dal futuro in un’epoca di fissazioni. In America era esploso Magic Johnson, 2.05, point-man. Della Valle sfiorava i due metri, aveva braccia lunghe, era dinoccolato, era il poster dell’atipicità. Ed era ostico. Torino, che aveva una squadra forte, lo mandò in prestito a Livorno quando era troppo giovane per avere un ruolo in una squadra da primi quattro posti. Poi un anno a Vigevano. E quindi il ritorno a casa, per quattro anni. Gli anni in cui la Berloni Torino giocava per lo scudetto, allenata da un milanese, Dido Guerrieri, e avversaria giurata di Milano. Due volte si incontrarono in semifinale, Olimpia e Auxilium. Della Valle era il giocatore che più di ogni altro metteva in difficoltà Mike D’Antoni: era più alto, aveva braccia lunghissime e non pagava la sua proverbiale lentezza. In più Della Valle sapeva penetrare improvvisando. “Quando comincia un movimento non ha neppure lui stesso la più pallida idea di cosa andrà fare”, disse Dan Peterson. Erano slalom, cambi di direzione, fu una specie di precursore dello Eurostep. Torino perse nel 1985 perché Joe Barry Carroll al Ruffini dominò la partita e nel 1986 perché l’Olimpia, persa gara 1 al Palalido, si inventò una rimonta speciale per capovolgere la serie e approdare in finale. Della Valle passò a Roma nel 1987 per due anni da protagonista prima di rientrare a Torino per altre quattro stagioni. Nel 1990 segnò 14.9 punti a partita; due anni più tardi ebbe 4.3 assist di media. Numeri da giocatore del primo livello pur con poche presenze in azzurro. Nel 1993 era a Pistoia, quando nacque Amedeo. Carlo smise di giocare nel 1994, ad appena 32 anni. Una carriera relativamente breve ma importante. Senza tuttavia mai un Europeo con la Nazionale. Senza una finale scudetto.
Qui comincia la storia di ADV. Amedeo Della Valle, che in carriera ha indossato quasi sempre l’8 come il padre a Torino (vedi sopra: porta palla e tira da tre con la mano sinistra), l’8 “proibito” a Milano dalla leggenda di Mike D’Antoni. Arriva all’Olimpia a 25 anni ma di finali scudetto ne ha già giocate due; ha vinto una Supercoppa da MVP contro l’Olimpia e proprio a Torino; ha già giocato un Europeo, nel 2015, ormai è in azzurro in pianta stabile e ha ottenuto i giusti riconoscimenti individuali in Eurocup. L’Olimpia è il passo successivo per un predestinato, protagonista da sempre, emerso a Casale Monferrato nelle giovanili e poi con una vocazione americana. Insomma, ha già superato i livelli del padre il che non significa nulla a proposito di Carlo. E’ stato un grande giocatore.
Negli Stati Uniti era andato in vacanza, come tanti. Ma anche ad allenarsi. E si era innamorato, di Miami e degli Stati Uniti. Ad un certo punto lo chiamarono dalla Findlay Prep High School di Henderson, nel Nevada, praticamente la periferia di Las Vegas, una specie di “basketball factory” multietnica nella quale avevano giocato prima di lui Cory Joseph e Tristan Thompson, giocatori NBA di livello, poi Anthony Bennett che è stato numero 1 del draft anche se poi ha fallito. Nel deserto del Nevada ebbe modo subito di mostrare la sua qualità migliore: il tiro. Se Carlo era un penetratore, un improvvisatore mancino, con un tiro da fuori costruito, piazzato; Amedeo è elegante, stilisticamente perfetto, un tiratore nato. Nel suo anno a Findlay con 66 triple stabilì il record scolastico per il maggior numero di canestri da tre in una stagione. Il suo coach a Findlay, Michael Peck lo definì “una guardia multidimensionale, che ha istinto, sa come giocare, capisce gli spazi, gioca duro, muove la palla. Non devi spiegargli tutto, perché comprende da solo”.
Nel 2012 scelse Ohio State tra i tantissimi college che lo avrebbero voluto, tra cui UCLA, Gonzaga e Michigan. Un programma di alto livello in un ambiente competitivo, con due Tornei NCAA cui si è qualificato ma un ruolo nel complesso marginale. Il playmaker era Aaron Craft, ora al Monaco ma visto in Italia a Trento; il coach era Thad Matta, un nome importantissimo, e l’assistente Chris Jent, il tiratore biondo che giocò in Italia tra l’altro anche a Reggio Emilia. Il suo momento di gloria fu nel 2014, torneo della Big Ten, quarti di finale, contro Nebraska. Sotto di 19, Thad Matta chiamò il suo tiratore dalla panchina, un giocatore carico di energia, un agonista. Della Valle segnò 12 punti e capovolse l’inerzia e il risultato. “Ma è stata la sua difesa a vincere la partita, fece tre stoppate, ebbe due palle rubate, molto più dei 12 punti”, disse Matta.
Tra una stagione americana e l’altra, nell’estate del 2013 guidò la Nazionale italiana all’oro europeo Under 20 in Estonia dopo aver segnato 18 punti di media due anni prima agli Europei Under 18: fu lui l’MVP della competizione. Ebbe un massimo di 27 punti contro la Spagna nei quarti di finale, inclusa la tripla della vittoria a due secondi dalla fine, con due movimenti per entrare consecutivi e poi la retromarcia per lo stepback risolutivo (è qui sotto).
Di punti ne segnò 19 in finale, 17 nel secondo tempo, inclusa la tripla che coronò una lunga rimonta e il sorpasso (vedi video sotto). Chiuse a 13.0 di media. Nell’albo d’oro degli MVP della competizione trovano spazio giocatori come Igor Rakocevic, Nikos Zisis, Sani Becirovic, Ersan Ilyasova, Milos Teodosic, Nikola Mirotic, Leo Westermann. Dopo di lui hanno vinto quel titolo Cedi Osman (Turchia, ora a Cleveland nella NBA) e Marko Guduric (Serbia, ora al Fenerbahce).
Pochi mesi dopo, terminato il secondo anno a Ohio State, tornò in Italia per fare il professionista. Anche l’Olimpia era interessata. Ma non aveva lo spazio per coltivarlo. Lui firmò per Reggio Emilia, districandosi tra Rimas Kaukenas e poi Pietro Aradori e infine l’anno passato anche Manuchar Markoishvili. Un Eurochallenge vinto da comprimario, una Supercoppa da grande protagonista e due finali scudetto perse, una contro l’Olimpia, rappresentano il suo bottino. La scorsa stagione ha giocato la semifinale di Eurocup, è stato primo quintetto All-Eurocup e secondo realizzatore della competizione dopo l’MVP Scottie Wilbekin del Darussafaka che ha vinto il titolo. Ma aveva una grande voglia di cimentarsi al livello più alto. Ha sognato la NBA, giustamente, l’EuroLeague rappresenta il basket immediatamente seguente. Nel frattempo è in Nazionale con la quale ha a sua volta un primato di 29 punti in una singola partita, contro la Romania nelle qualificazioni per i Mondiali del 2019.