L’Olimpia vinse il suo scudetto numero 10, quello che le consentì di fregiarsi del diritto di incollare sulle proprie maglie la fatidica stella, nella stagione 1956/57. Nella storia del club fu una stagione estremamente significativa, per tanti motivi. Nell’estate precedente, Borletti aveva deciso di uscire definitivamente dal basket non solo come proprietario – era già accaduto, quando aveva passato la mano a Adolfo Bogoncelli – ma anche da sponsor. Quindi la stagione 1956/57 fu la prima con il marchio Simmenthal, del Cavalier Sada, sul petto. Fu anche l’ultima stagione di Cesare Rubini nei panni di giocatore e allenatore anche se in realtà aveva di fatto già rinunciato ad andare in campo con l’arrivo, la stagione precedente da Trieste, di Gianfranco Pieri e, proprio alla vigilia di quella stagione, da Pesaro, di Sandro Riminucci.

L’Olimpia aveva vinto all’inizio del decennio quattro scudetti consecutivi, ma poi aveva dovuto rinnovare la squadra, soprattutto aveva perso il grande Sergio Stefanini. Nei due anni precedenti, la Virtus Bologna aveva vinto due scudetti con un nucleo fortissimo composto dal centro Antonio Calebotta, da Achille Canna e Mario Alesini. Milano stava vivendo un graduale ricambio generazionale. Romeo Romanutti, il bomber, aveva 30 anni, a quei tempi non pochi per giocare ai massimi livelli. Rubini scelse anche il primo americano nella storia dell’Olimpia, Ron Clark, il secondo straniero di sempre (l’anno precedente c’era stato il greco Mimi Stephanidis).

Ma la Virtus era la favorita di quella stagione in cui per la prima volta andò a giocare in Piazza Azzarita, nell’odierno PalaDozza. E l’Olimpia cominciò male perdendo a Bologna contro il Motomorini, ovvero la Fortitudo dell’epoca. Quell’anno c’erano 12 squadre in Serie A, di cui tre bolognesi: Virtus Minganti, Fortitudo Motomorini e Preti Gira. L’Olimpia incredibilmente vinse dappertutto, ma non vinse mai a Bologna. Tre viaggi e tre sconfitte. Le uniche di una stagione chiusa con un record di 11-0 in casa. La seconda sconfitta stagionale maturò contro la Virtus, 71-64, ma dopo un tempo supplementare. L’americano Clark devastò la rinomata difesa bianconera, costruita da un allenatore siciliano, molto rispettato, Vittorio Tracuzzi. Clark segnò 30 punti ma non bastarono. L’Olimpia rischiò di perdere due volte: a Cantù si impose 44-43 e a Pesaro contro la Benelli, l’ex squadra di Riminucci, vinse di tre, 72-69. Alla fine del girone di andata aveva due sconfitte, esattamente come la Virtus che era caduta a sorpresa a Pavia e poi a Varese.

L’Olimpia aveva quindi un vantaggio: lo scontro diretto risolutivo si sarebbe giocato a Milano. Solo che perse di nuovo a Bologna, con il Gira, squadra comunque di classifica medio-alta, scivolando in seconda posizione con una vittoria in meno della Virtus. Il break favorevole arrivò quando la Virtus cedette a Roma contro la Stella Azzurra, riequilibrando la classifica. Lo scontro diretto, a Milano, metteva di fronte le due contendenti a pari punti. E fu una battaglia, praticamente uno spareggio.

Cesare Rubini aveva un problema soprattutto. Clark, che aveva distrutto la Virtus nella partita di Bologna, era assente per infortunio. Lo scudetto, quindi, avrebbe dovuto vincerlo con una squadra tutta italiana. Come la partita di andata, anche la seconda andò al tempo supplementare. L’Olimpia si impose 67-63. Il ragazzo prodigio, l’Angelo Biondo che veniva dalla Riviera, Sandro Riminucci non aveva ancora compiuto 22 anni, ma decise di firmare personalmente, segnando 23 punti, quello scudetto. Altri 22 ne segnò il triestino di Spalato, Romeo Romanutti. In cabina di regia, Gianfranco Pieri, aggiunse 11 punti. Per Riminucci e Pieri, la coppia di guardie più forte probabilmente nella storia della società e forse del basket italiano, si trattò del primo scudetto. Ne avrebbero vinti altri otto inclusi i successivi tre. Uomini forti di quella squadra erano ancora i veterani Sandro Gamba ed Enrico Pagani. Riminucci segnò 459 punti in quella stagione. Solo il pivot slavo Toni Vlastelica di Pesaro ne segnò più di lui.

Battuta la Virtus, l’Olimpia aveva solo bisogno di non rovinare tutto nelle ultime due partite. Non lo fece. Si impose a Varese 84-75 e chiuse i conti, conquistando ufficialmente lo scudetto della stella, a Milano nel Palazzo dello Sport della Fiera (il predecessore del Palalido), nell’ultima giornata di campionato contro Pesaro, un largo 79-52.

La stagione successiva, l’Olimpia partecipò per la prima volta alla Coppa dei Campioni. Superò brillantemente le prime due fasi, poi perse nei quarti di finale contro l’Honved Budapest, cedendo nella gara disputata in Ungheria. Vinse però un altro scudetto, sempre precedendo Bologna, anche cambiando straniero, da Clark a Bon Salle che poi sarebbe stato sostituito da Pete Tillotson, fino a quando la Federazione non decise di abolire di nuovo i tesseramenti di giocatori stranieri.

Ma lo scudetto della prima stella fece da spartiacque. Tra l’era Borletti e quella Simmenthal. Tra il Rubini allenatore-giocatore e il Rubini solo allenatore. Tra la generazione di Stefanini e Romanutti e quella di Pieri e Riminucci di cui Pagani e Gamba furono gli anelli di congiunzione. In pratica, quello scudetto strappato alla Virtus bicampione in carica, aprì un nuovo ciclo che in sostanza avrebbe portato la squadra fino alla conquista del titolo europeo del 1966 e nove titoli italiani in 11 anni.

ROSTER: Gianfranco Pieri, Sandro Riminucci, Sandro Gamba, Enrico Pagani (Capitano), Romeo Romanutti, Renato Padovan, Cesare Volpato, Ronald Clark, Cesare Rubini. Allenatore: Cesare Rubini.

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