Sabato sera, andrà in onda l’ennesimo atto del derby tra Milano e Varese, i due club che hanno fatto la storia del basket italiano e si sono giocati quattro scudetti in uno spareggio, la versione antica di una gara 7 per il titolo italiano. All’epoca non c’erano i playoffs e lo scudetto veniva assegnato alla miglior squadra della stagione regolare. Era imperativo non commettere passi falsi e giocarsi tutto nelle due sfide contro Varese. Milano e Varese è stata la rivalità dominante dei primi anni ’70 soprattutto, quelli dell’epopea varesina. Questione di vicinanza, ma non solo. “Noi di Varese – ricorda Dino Meneghin – guardavamo alla sfida con Milano come una sorta di rivincita della provincia contro la grande metropoli. Poi erano partita decisive: sapevi che battendo Milano avevi mezzo scudetto in tasca. Erano i tempi di Rubini: aveva quest’aria… volevamo vincere anche per battere lui”.
Meneghin nel 1970 era stato scelto nei draft NBA da Marty Blake, il superscout famosissimo negli anni ’80 che a quei tempi lavorava per gli Hawks. Scelse lui e una guardia messicana di nome Manuel Raga. Anche lui di Varese. Meneghin era un duro, un muscolare, un giocatore fisicamente spaventoso. Per rispondergli, l’Olimpia scelse Arthur Kenney perché fosse l’anti-Meneghin, o il Meneghin americano. “Krypton Kenney” suggerisce lui. Quando tornò a Milano per il ritiro della maglia mostrò una macchia di sangue seccato sul petto di una canotta bianca originale: “Posso garantirvi – disse ai giocatori dell’Olimpia di allora – che non è mio sangue e mi piacerebbe fare il test del DNA per avere la conferma che si tratta di sangue di Meneghin”.
Ma la rivalità era cominciata negli anni ’60. Nel 1966 i Campioni d’Europa del Simmenthal dovettero giocarsi lo scudetto a Roma, un paio di settimane dopo. Era il primo spareggio con Varese. L’Olimpia non aveva Bill Bradley, perché era previsto solo uno straniero per squadra e lui aveva giocato solo in Coppa. Aveva però Skip Thoren contro Toby Kimball, bianco americano, con pochi capelli e tanta classe. Ma a tenere banco fu un’altra storia, che si sarebbe risolta solo due mesi dopo lo spareggio. Varese aveva utilizzato in Coppa l’oriundo Tony Gennari, nato a Trenton da padre romagnolo. L’Ignis aveva tentato di naturalizzarlo per mesi, ma c’erano stati ritardi burocratici, problemi a dimostrare il legame tra il padre e l’Italia, c’era una questione complicata di cittadinanza italiana implicitamente rinunciata ottenendo il passaporto americano. Fatto sta che la Fip diede il via libera all’utilizzo di Gennari solo alla vigilia dello spareggio. In pratica, un giocatore utilizzato in coppa da americano e non usato in campionato avrebbe debuttato nello spareggio. Varese utilizzò Gennari solo nell’ultima parte di partita quando il punteggio era in bilico. Gennari segnò 10 punti e l’Ignis vinse dilagando 74-59. Ma i giochi vennero fatti solo nelle settimane seguenti, con polemiche furiose. Alla fine venne dimostrato che Gennari aveva giocato senza ancora essere italiano, così la gara fu assegnata a tavolino al Simmenthal un mese e mezzo dopo la sua disputa e servirono altre due settimane perché venisse rigettato l’appello dell’Ignis.
Nel 1970, primo anno di Arthur Kenney a Milano, la gara di Varese era programmata per il 26 dicembre. “Ci allenavamo in Secondaria al Lido – ricorda Kenney – Dopo un rimbalzo caddi male con la caviglia sinistra. Distorsione. Il fisioterapista Angelo Cattaneo mi mise a letto con il ghiaccio sulla caviglia per ridurre il gonfiore. Mangiavo pastiglie di ananase come fossero caramelle. La sera di Natale il mio compagno Giorgio Giomo mi portò alla cena di squadra. E il giorno dopo zoppicai sul pullman che ci portò a Varese. Cattaneo mi fasciò la caviglia che più stretta non si poteva fasciare. Ma mi dava fastidio e gli chiesi una puntura di antidolorifico attraverso le bende. Strappai tutto e andai a giocare contro Meneghin”.
La leggenda di Kenney, guerriero indomito, che a Belgrado era salito in tribuna per farsi giustizia da solo contro un avversario che aveva tirato un calcio a Rubini nacque allora. Varese vinse quella partita ma nel girone di ritorno, il Simmenthal vinse 73-72 con due liberi allo scadere di Kenney. “Feci un’entrata e subiì almeno tre falli poi la palla si impennò e Pino Brumatti tentò di tirare al volo. Ma ci fu un fischio. Rubini avrebbe voluto Brumatti in lunetta, ma mandarono me…” Arturo fece 2/2. L’Olimpia vinse la partita e si guadagnò lo spareggio di Roma, il primo di tre consecutivi contro l’Ignis. Però lo vinse Varese 65-57 nonostante i 18 punti di Brumatti e i 14 con 13 rimbalzi di Kenney. Il Simmenthal dovette consolarsi con la Coppa delle Coppe, contro lo Spartak Leningrado, il secondo trofeo internazionale della sua storia.
Perso lo scudetto del 1971 allo spareggio di Roma, davanti a 16.000 spettatori, tanto per avere un’idea di cosa fosse l’interesse attorno a quella partita, la rivalità tra Ignis e Simmenthal era a pieno regime. In sostanza spaccava in due l’Italia dei canestri e non solo, come succedeva alle grandi rivalità del ciclismo nostrano, Coppi e Bartali, Moser e Saronni. Nel 1972, l’Olimpia ottenne il diritto di giocare un secondo spareggio vincendo al Palalido la gara di ritorno contro l’Ignis. La partita finì con la storica rissa tra Kenney e Meneghin di cui Dino ha già parlato. “Vincemmo di cinque, a fine partita suona la sirena, io ho la palla ma Meneghin commette un fallo – racconta, scherzando Kenney – Ma c’era un frastuono incredibile e Dino mi spiegò di non aver sentito la sirena. E anche io fui mal interpretato perché non volevo vendicarmi ma solo abbracciarlo come due pugili dopo il gong”. Ad Arturo piace ironizzare su quell’episodio ma la battuta contiene un fondo di verità: potevano picchiarsi, darsele di santa ragione ma in fondo i due guerrieri si rispettavano e da quelle battaglie nascevano amicizie. La loro trascendeva la rivalità, le botte, i duelli, l’appartenenza ad una squadra piuttosto che ad un’altra.
Lo spareggio si disputò ancora a Roma, il 4 aprile 1972. Furono decisivi Brumatti nel guidare la rimonta da meno sette e Bariviera nel finale, inclusi due tiri liberi determinanti. Fu sua anche la schiacciata liberatoria per il 64-60. Era un basket diverso in cui i cambi erano rari e gli allenatori forzavano l’utilizzo delle star anche quando erano carichi di penalità. Rubini si trovò a giocare gli ultimi dieci minuti di partita senza Kenney, fuori per falli, e un minuto dopo perse anche Iellini. Furono Brumatti, Bariviera e Masini a tenere viva la squadra e portarla al traguardo storico che completò tra le altre cose una memorabile tripletta stagionale, con Coppa Italia e Coppa delle Coppe. “Aver vinto lo spareggio senza di me per dieci minuti dimostra quanto fosse profonda quella squadra – ricorda Kenney – A me piaceva dire che ogni formazione aveva non uno o due americani ma uno o due handicap”.
Nel 1973 aveva anche una nuova arma: Bob Morse sarebbe diventato probabilmente il più famoso, significativo e amato americano per una generazione di tifosi. Il Kenney di Varese, non per lo stile di gioco, ma per l’importanza. Morse era la star della Pennsylvania University a Philadelphia nei primissimi anni ’70. Nel 1973 scelse di venire in Italia per fare un’esperienza di vita. Idealista fino all’eccesso, non immaginava di giocare a basket fino alla soglia dei 40 anni. Asa Nikolic lo chiamò a Varese con un’idea considerata folle: trasformare il grande Manuel Raga nello straniero di coppa e usare Morse a tempo pieno.
Nello spareggio del 1973, Morse segnò 31 punti. Milano ebbe una prova solidissima da parte di Kenney e Bariviera, cinque uomini in doppia cifra, ma non abbastanza per trovare un antidoto al giovane Morse che catturò anche sette rimbalzi. Finì 74-70. “Se potessi cambiare una cosa nella mia vita, cambierei lo spareggio del 1973 contro Varese – dice Kenney – Quella partita nacque male. Partimmo troppo tardi dall’hotel, rimanendo bloccati nel traffico. Cominciammo nervosi. Non dico che perdemmo per quel motivo ma mi sarebbe piaciuto giocarla senza disguidi. Era una partita che avremmo dovuto vincere”. Fu la sua ultima partita con la maglia del Simmenthal.