Jordan Theodore ha tatuato sulla schiena “Englewood”, il nome della cittadina del New Jersey da cui proviene. “Home sweet home”, dice. Qui racconta tutta la sua storia da quando seguiva il fratello Kwame fino all’EuroLeague passando da Francoforte al Banvit. Con una chicca: si chiama Jordan perché chiamandolo come il più grande giocatore della storia il fratello maggiore era convinto che il basket sarebbe entrato nel suo destino.
LE ORIGINI – “Ho cominciato a giocare a basket seguendo i miei fratelli maggiori. Il più anziano, Kwame, amava il basket e io lo seguivo dappertutto. Quando al nostro liceo aprivano le porte io ero lì con lui. Anch’io amavo il gioco. Lui ha voluto che mi chiamassi Jordan: diceva che così fin dalla nascita il mio destino sarebbe stato giocare a basket. E’ divertente vedere come sono andate le cose”.
SETON HALL – “Seton Hall è stata molto importante. Io sono legato alle mie origini e mi piace avere attorno la struttura di una famiglia. La famiglia è tanto per me e poter restare a casa per il college mi ha dato la possibilità di giocare davanti ai miei familiari, ai miei migliori amici. Soprattutto i miei nonni: invecchiando non gradivano volare invece così potevano prendere la macchina e venirmi a vedere facilmente. La decisione di rimanere a casa, vicino alla famiglia, è stata importante”.
I DRAFT – “Non essere scelto non è stata una delusione perché, sì ho fatto dei provini, ma quei provini non sono stati buoni. Tanti giocatori dicono avrei dovuto fare questo o quello, ma no, no… Io ho avuto una grande stagione da senior, ho lavorato duro, ma i workout onestamente non sono stati buoni. Un allenamento può costruire o distruggere tutto per un giocatore e questo è quello che è successo a me”.
LA SVOLTA DI FRANCOFORTE – “E’ stata la mia prima volta in Europa in cui ho trovato una squadra con ragazzi giovani, affamati e con tanta voglia di vincere. Prima ero stato a Mersin, ad Antalya, in Francia, dove arrivai nel mezzo della stagione: lì avevo trovato tanti giocatori sulla via d’uscita, poco interessati alle vittorie, solo ai soldi da prendere, ma a Francoforte ho trovato un allenatore che mi ha capito totalmente, compagni che capivano dov’erano nelle loro carriere e dove volevano arrivare. Questo è stato molto importante”.
LA STAGIONE AL BANVIT – “E’ stata una stagione tremenda. Avevo grandi aspettative specialmente su me stesso dopo la stagione che avevo avuto in Germania agli Skyliners. Tornavo in Turchia dove le mie prime due squadre erano retrocesse in seconda divisione. Quindi sapevo quanto fosse importante per me il ritorno in Turchia. E’ sempre stato in un angolo della mia mente. Mi dicevo: ehi, ricorda cos’è successo le prime due volte che sei stato qui. Si erano dette tante cose sul Banvit, che era una squadra con un budget inferiore alle altre… ma quelle altre squadre non avevano me. Ero consapevole di tutto e di quanto avevo lavorato per arrivare a quel punto, ero consapevole che se avessi portato in tavola, ogni giorno, a ogni allenamento, ogni partita, quello che so fare avremmo avuto una grande stagione. Ed è quello che è successo. Gli altri giocatori credevano nel sistema del coach, hanno seguito la mia leadership e così abbiamo prodotto un bellissimo anno”.