Elisa Brumatti ha una catenina al collo che sorregge un anello. Grosso, il classico anellone americano. “Mio padre lo portava sempre, non lo toglieva mai. Lo fece solo per stringerlo leggermente”, ricorda. Pino Brumatti è stato uno dei più grandi giocatori della storia dell’Olimpia e anche uno che se n’è andato troppo presto. Domenica sera c’era la figlia a rappresentarne lo spirito e a ricevere la maglia che gli spettava. Gliel’ha consegnata Arthur Kenney: di Brumatti era amico intimo. Quell’anello è suo: “Me lo diedero alla Power Memorial Academy: la squadra di liceo nominata come la più forte di sempre. Lo regalai a Pino, il mio migliore amico. Quando tornai a Le Mans da Milano voleva restituirmelo. Non lo volli: Pino, è il simbolo della nostra amicizia e quella è per sempre”. C’è un episodio incredibile legato a quel Simmenthal. “Quando nacque la figlia di Pino, lui avvertì il nostro team manager, Basilio Andolfo. Gli disse che l’avrebbe chiamata Lisa. Andolfo rispose: mai nome è stato più azzeccato. Tu sei un Mona, in triestino. E lei è Lisa. Mona-Lisa”. “Fu così che aggiunsero una e davanti al mio nome”, dice Elisa Brumatti che questa storia la conosce benissimo. Ad un certo punto hanno fatto una foto tutti assieme davanti alla gigantografia di Brumatti: Giorgio Papetti, Paolo Bianchi, Kenney, Mauro Cerioni, Giorgio Giomo, Maurizio Benatti, tutti i “Brumatti Boy”. Per loro Pino sarà sempre vivo. Anche per l’Olimpia.