Il volo per Tel Aviv, singolarmente il più lungo della stagione, dura circa quattro ore. Un’altra arriva via fuso orario. Il decollo da Malpensa avviene alle 14.45 e l’arrivo è alle 19.50 locali. Comitiva Olimpia al minimo storico di componenti. I giocatori sono dieci, con Kruno Simon a casa ad allenarsi, Mantas Kalnietis alle prese con la terapia riabilitativa e naturalmente siamo senza The Dragon Ball, Zoki Dragic. Non c’è neppure Jasmin Repesa, bloccato a casa per problemi di salute. Per la prima volta in EuroLeague sarà Massimo Cancellieri a guidare la squadra da capo allenatore assistito da Mario Fioretti. Per completare il quadro, il medico al seguito della squadra è il dottor Ezio Giani.
Sul piano strettamente agonistico la partita ha scarso significato ma in campo vanno Maccabi e Milano quindi l’aspetto storico, il prestigio, hanno un ruolo importante. Il Maccabi aveva ambizioni ma ha avuto una stagione difficile in cui si sono alternati tre diversi allenatori, ci sono stati infortuni e avvicendamenti, tagli, cessioni. In compenso ha vinto la Coppa ed è in testa alla classifica della lega israeliana: una volta il titolo era semi automatico, ma negli ultimi due anni è sfuggito, merito prima dell’Hapoel Gerusalemme e poi del Maccabi Rishon. Contro l’Olimpia recupererà diversi giocatori e l’assenza pesante sul serio sarà quella di Andrew Goudelock. L’ultima volta dell’Olimpia a Tel Aviv fu tre anni fa nei playoffs. Squadre diverse. Il Maccabi vinse l’EuroLeague in modo rocambolesco, era guidato da David Blatt, Ricky Hickman e Tyrese Rice erano le due guardie, c’era Sofo Schortsianitis, c’era David Blu. Anche l’Olimpia era differente. Il Maccabi diventò campione d’Europa a Milano. L’Olimpia a Tel Aviv chiuse una memorabile stagione europea, probabilmente poco capita nella sua brillantezza.
Il Maccabi non ha il pubblico numero 1 d’Europa per affluenza ma ha virtualmente il 100% di riempimento della propria arena da 11.400 posti. Le sue partite interne sono eventi. La squadra è il simbolo di una nazione, come si ripete sempre. I migliori giocatori israeliani hanno vestito la maglia gialla del Maccabi, da Motti Aroesti a Micky Berkovitz e Doron Jamchy, americani di qualità, Kevin Magee e Lee Johnson, Earl Williams, Kenny Barlow, Anthony Parker, Nate Huffman, Derrick Sharp. Il proprietario storico (non l’unico), Shimon Mizrahi, è un figura leggendaria, sempre insieme alla squadra, in fondo alla panchina, tenendo stretto un crocifisso. Il Maccabi ha spesso incrociato le armi con squadre italiane: vinse il suo primo titolo europeo al Pionir di Belgrado contro la Varese di Bob Morse e Dino Meneghin; ne vinse un altro a Strasburgo contro la Virtus Bologna e un terzo nel 2004 in casa contro la Fortitudo Bologna di Jasmin Repesa. Ma ha anche perso una finale con Cantù (con Bruce Flowers e CJ Kupec) e due le ha perse contro l’Olimpia, nel 1987 e nel 1988. Dan Peterson e Franco Casalini, i due allenatori. Mike D’Antoni e Bob McAdoo erano l’asse portante con Meneghin, Premier, Barlow nel 1987 e Rickey Brown nel 1988.
Tel Aviv è una città bellissima, adagiata sul mare, dove modernità e antichità si fondono. Gerusalemme è a un’ora di strada da qui, ma sulla costa sembra di essere a Miami. Spiagge, ristoranti e grandi hotel. La temperatura esterna è già alta, intorno ai 16 gradi all’arrivo ma all’ora di pranzo aveva toccato i 26-27, quasi fosse estate. Anche se la posta in palio è modesta, farà caldo dentro l’area, sarà una grande esperienza per chi non ha mai giocato in un tempio costruito nel 1972 e poi rimesso a nuovo altre tre volte. L’Olimpia è rimaneggiata ma è un’occasione per farsi ispirare.
Si arriva a Ben Gurion e Awudu Abass viene fermato al controllo passaporti per 30 minuti. Semplice controllo supplementare. Era successo a Gani Lawal tre anni fa “e a me anche quando venni qui per giocare con Cantù”, racconta. La prende sul ridere. Alle 21 locali siamo in hotel per la cena.