Mancano 57 giorni al “Celebration Day” del 6 marzo.
L’Olimpia fedele al proprio DNA di tentare l’impossibile ebbe un’idea geniale e improbabile nel settembre del 1980: firmare Kevin McHale. Il giovane McHale era stato scelto dai Boston Celtics al numero 3 del draft NBA. Fosse venuto sarebbe stata la più clamorosa acquisizione dai tempi di Bill Bradley nel 1966. A quei tempi i contratti dei rookie nella NBA non erano codificati ma oggetto di negoziati interminabili. McHale e Boston erano lontani dall’accordo. E Dan Peterson diede l’ordine di provarci. McHale venne a Milano. Fu rapito e convinto da Mike D’Antoni a restare. Una mattina avrebbe dovuto firmare. Era in programma un pranzo per celebrare. Pochi minuti prima lo chiamarono da Boston. Niente scherzi: ti diamo quello che hai chiesto. Il sogno McHale tramontò all’improvviso come prevedibile. Ad una settimana dal via, Milano ripiegò su John Gianelli. Sarebbe stato criticato e incompreso all’inizio ma sarebbe rimasto tre anni vincendo lo scudetto del 1981 e giocando una finale di Coppa dei Campioni. “Il miglior difensore che abbia mai avuto” dice Dan Peterson. Veniva dai Knicks e aveva tecnica e intelligenza incredibili. Sapeva tirare e cancellava attaccanti dal campo. È stato appena superato da Alessandro Gentile come 22° realizzatore nella storia del club. Lo chiamavano Pisolo perché dava sempre la sensazione di essere assente. Ma non lo era. Era in grado di decidere le partite su ambedue i lati del campo, poteva essere posizionato dappertutto nella mitica 1-3-1 di Peterson e eseguì la stoppata su Sylvester dello scudetto del 1981. Non era McHale ma non fu un ripiego. Per nulla.