Quando l’Olympiacos diventò minaccioso e il clima dentro l’arena della Pace e dell’Amicizia si fece incandescente, Keith Langford con una tripla frontale ammutoli il Pireo a dare all’Olimpia la prima vittoria esterna delle Top 16 di EuroLeague lanciandola verso i playoffs. L’Olimpia vinse in trasferta anche a Vitoria la settimana successiva, vinse a Istanbul e collezionò in Eurolega sette successi di fila che le valsero uno straordinario secondo posto nel girone. Nessuna squadra in quel periodo espresse la qualità di gioco dell’Olimpia. Langford dell’EuroLeague fu il capocannoniere e anche il miglior giocatore assoluto nella valutazione statistica. E poi vinse lo scudetto il 27 giugno 2014. Fu la sua ultima partita a Milano prima di quella che giocherà venerdi sera con Kazan. La sua ultima in maglia Olimpia che ha vestito per due anni.
Keith Langford è texano di Fort Worth, la città adiacente a Dallas, una specie di gemella brutta e maltrattata. La sua è una famiglia di giocatori, genitori e sorella minore inclusi, ma il gene del talento ha baciato il Langford più piccolo di statura, più leggero. Keith appunto. “Sono cosciente di essere stato fortunato ed è per questo che non voglio sperperare il mio dono, per questo sto attento ai dettagli e non mi metto mai nei guai. So che dal mio comportamento dipende il mio futuro e dipende tutta la mia famiglia”, dice. Quando è stato nominato nel quintetto ideale di Eurolega ha voluto che la moglie Brittany e il bellissimo Kaycen, nato nel periodo in cui Keith ha giocato a Milano, fossero con lui. “Senza loro due non sarei quello che sono”, disse.
Il primo amore fu il football. “Volevo fare il professionista ma volevo farlo nel football. Ancora oggi se devo scegliere preferisco guardare una partita di football piuttosto che una di basket”, ammette. Ma un giorno tutti i suoi amici fecero un provino per la squadra di basket. Langford si unì a loro e improvvisamente il mondo scoprì un talento speciale. Quelli che nel football erano difetti nel basket lo erano molto meno. Se non sei grosso e fisico ma veloce e sgusciante nel basket vai bene lo stesso. Langford lo capì e decise che il suo futuro sarebbe stato tra i canestri.
Roy Williams aveva reclutato Michael Jordan per North Carolina e sapeva riconoscere una guardia di alto livello quando ne vedeva una. Fu lui, da coach di Kansas a reclutare Langford. La carriera di Keith nei Jayhawks fu strepitosa. Due volte raggiunse le Final Four NCAA (la seconda volta l’allenatore era Bill Self che sostituì Williams quando questi tornò a Carolina dove poi ha vinto tre titoli NCAA, l’ultimo nei giorni scorsi) e tutte e due le volte vinse la semifinale per poi perdere la finale. Una volta Langford riuscì ad avere la meglio su Marquette duellando con Dwyane Wade addirittura. “Ho sempre avuto la sensazione che Juan Dixon di Maryland e poi Carmelo Anthony di Syracuse si siano portati via i miei due titoli NCAA. Sì, ho qualche rimpianto. Soprattutto l’ho avuto sul momento poi guardando le cose in prospettiva ti rendi conto che quanto fatto non è da tutti e allora lo apprezzi di più”, spiegò. Fu la NBA a non apprezzarlo abbastanza. Guardando Langford gli scout vedevano una guardia nel corpo di un playmaker e una prima punta che non si sarebbe mai adattato a compiti di gregariato puro. E poi all’epoca Keith non era neppure un tiratore (le sue percentuali nel tiro da tre sono cresciute gradualmente anno dopo anno fino a tramutare un difetto in una delle caratteristiche più rilevanti e preziose). Non venne scelto nei draft e fu costretto a sbarcare in Europa quando i giochi erano fatti e lui un rookie da maneggiare con cura. La prima tappa fu Cremona in Legadue. Stagione straordinaria oltre i 21 punti di media e ricordi indelebili per i tifosi locali, situazione che avrebbe accompagnato Langford. Keith riprovò con la NBA. San Antonio era interessata e gli diede una chance. Keith dominò la D-League ma non fu ancora abbastanza. Accettò di finire la stagione a Biella e fu un altro successo che gli consentì di salire ancora un gradino, a Bologna. “È stato l’anno decisivo, quello in cui mi sono elevato in una nuova dimensione”. Arrivò da ripiego, per sostituire Will Bynum che dopo aver firmato trovò un garantito a Detroit e si liberò dall’impegno. Fece il sesto uomo ma si dimostrò in fretta il miglior giocatore della squadra. La portò alla finale di Coppa Italia e vinse da Mvp l’Eurochallenge. Era al top del suo atletismo. A Bologna stava bene, giocava meglio, viveva in una città di basket e quando gli proposero un rinnovo importante non ebbe dubbi. Solo dopo comprese di essere stato firmato al solo fine di essere ceduto al Khimki Mosca dove giocò due anni e conobbe Sergio Scariolo che poi l’avrebbe portato a Milano. Ma successe dopo Mosca e dopo due stagioni indimenticabili al Maccabi.
A Tel Aviv vinse due titoli israeliani, vinse una Lega Adriatica da Mvp e perse l’accesso alle Final Four contro il Panathinaikos concedendo gara 4 in casa e poi gara 5 in trasferta. Ma anche lì resta amatissimo. Quando l’Olimpia ha giocato in Israele i playoffs di EuroLeague per lui è stata una festa. Fiori prima della partita, ricordi, applausi, standing ovstion. Un trionfo.
Keith Langford era emozionato il suo ultimo giorno a Milano quando ha abbracciato e ringraziato tutti. Sussurrato parole bellissime. Langford è stato a Milano un professionista esemplare, magari un minimo ossessionato dai dettagli e scaramantico. Il vizio di cambiare le scarpe all’intervallo (“Ero al liceo, indossai un paio di scarpe nuove per la prima volta e giocai un pessimo primo tempo: mia madre mi urlò di rimettermi le solite scarpe, lo feci e ripresi a giocare bene. Da allora lo faccio ogni volta che non sono contento del mio primo tempo” racconta). Di essere sempre l’ultimo a entrare in campo o a salire sul pullman. Non è mai uscito molto la sera, da uomo di famiglia. E certamente è un giocatore particolare. “Ero venuto per vincere, interrompere il digiuno di Milano. Sono felice di esserci riuscito”, disse con la medaglia di campione d’Italia appesa al collo.
E’ stato, Langford, un campione indimenticabile. E’ rimasto solo due anni vincendo meno di quanto avrebbe meritato. Dopo, è passato a Kazan dove sta completando la sua terza stagione consecutiva russa. Il figlio Kaycen adesso ha quattro anni ed è mancino come lui. Keith ha 34 anni e vincerà la classifica marcatori di EuroLeague. Primo nei falli subiti. Nei tiri liberi fatti e tentati. Passa il tempo, la condizione atletica è la stessa. E Langford è sempre lui.