Mason Rocca si è sobbarcato il viaggio più lungo: da Chicago via Monaco per poi fare una puntata a Jesi, la sua città italiana. Sta completando un master per diventare professore di matematica al liceo dopo essersi laureato in ingegneria a Princeton. Questo significa essere un vero uomo Olimpia. Sentirsi in eterno parte della famiglia. Lo dice anche Nane Vianello: “Volli l’Olimpia quando ero a Varese, adesso vivo nella mia Venezia, vado a vedere le partite ma quella che davvero non mi perdo mai è quella con l’Olimpia. La mia squadra e mi sento ancora parte di questa società”. I nipotini vestono le t-shirt rosse dell’Olimpia. Da Misano Adriatico, Sandro Riminucci: “Purtroppo ho avuto un contrattempo e non sono stato presente. Avrei voluti rivedere i miei compagni del Simmenthal ma verrò a Milano. E’ la mia squadra: la seguo in tv, gioca bene, qualche volta vorrei vedere più cattiveria agonistica”. Gianfranco Pieri, Giulio Iellini, Mauro Cerioni si sono trovati tutti a festeggiare il 70esimo compleanno di Arthur Kenney la sera prima della festa. Si imparano tante cose in queste situazioni: Paolo Bianchi è un grande collezionista di pin storici dell’Olimpia. Bianchi, prodotto del settore giovanile, è stato Capitano dell’Olimpia nel 1977/78 prima che la carriera lo portasse altrove. Giando Ongaro, otto scudetti, una specie di Vittorio Gallinari ante-litteram, il più assiduo frequentatore delle partite dell’Olimpia rimprovera la moglie che soffre ancora troppo vedendo le maglie rosse in campo. La moglie di Arthur Kenney mastica italiano come lui. Dino Meneghin era stato soprannominato “Testa” da Roberto Premier quando giocavano insieme. Franco Boselli era detto il Barone per la ricercatezza nel modo di vestire. Gianmario Gabetti è ancora un tifoso incredibile della squadra. Gianfranco Pieri ricorda con un punto di orgoglio “che noi a Trieste imparavamo presto a giocare a basket, c’erano gli americani e ci insegnavano. Quando segnai 34 punti al Borletti passai sopra Rubini, Romanutti e Stefanini. Non c’era nulla da fare. fecero bene a prendermi”. Paolo Vittori è ancora un incubo per Dan Peterson: “Ho fatto in tempo ad allenare contro di lui, era a fine carriera a Rieti e io a Bologna: mi devastò. Era anche un difensore”. Gregor Fucka è arrivato con moglie e figlia piccola. Ha due figlie grandi che giocano a pallavolo. “Quando venni a Milano non mi capiva nessuno: avevao imparato solo il triestino e pensavo si dovesse parlare così in Italia”, scherza. Riccardo Pittis ha imparato tutto a Milano. Una volta in allenamento Coach Peterson lo fece giocare con il secondo quintetto, con i giovani. Con Pittis. “McAdoo non voleva perdere nemmeno il cinque contro cinque”, ricorda Meneghin. “A quei tempi Pittis faceva il funambolo, ma Bob fu chiaro: se mi fai perdere la partita te la vedi con me. Ricky fu disciplinatissimo e portò quella disciplina in partita. La gente mi diceva: bravo Coach, hai messo a posto Pittis. E io a prendermi i meriti ma erano quelli di McAdoo”, ricorda Peterson.