Il nome completo, Robert Allen McAdoo, è come un brand. Bob McAdoo è stato incluso tra i migliori 50 giocatori nella storia della NBA in occasione del 50° anno di vita della Lega. E’ un membro della Hall of Fame e il primo giocatore di North Carolina ad aver lasciato il college in anticipo. McAdoo arrivò a Milano nell’estate del 1986 dopo aver vinto due titoli NBA con i Lakers ma anche la classifica marcatori e il titolo di Mvp della Lega. Un fenomeno assoluto che in Italia si sarebbe ricostruito una seconda carriera con due Coppe dei Campioni e due scudetti, una Coppa Intercontinentale e il Grande Slam del 1987. “Quando arrivò non ero preoccupato di inserire una star del genere perché l’avevo già conosciuto ed erano quattro anni che cercavo di prenderlo – ricorda Dan Peterson -. Nell’86 disse sì, avevo lavorato con Dean Smith il suo coach a North Carolina e mi aveva detto che tipo di persona fosse negli allenamenti, come etica. Ovviamente un pizzico di preoccupazione una stella del genere te la dà sempre ma lui dal primo giorno si è inserito con grande umiltà. Mi ricordo la prima partita a Milano: non aveva mai visto la bandiera che copriva una tribuna e poi fu presentato per ultimo. Tutti i tifosi avevano ascoltato le mie telecronache NBA e sapevano che in America lo salutavano con “Doo Doo” e lui rimase sorpreso… Non aveva fatto neppure un amichevole, solo un allenamento. E a fine gara, contro Venezia, mi disse che non era contento e prometteva di giocare meglio. Lui era competitivo: io sono stato il primo allenatore a dover arbitrare le gare di tiro perché non voleva perdere mai”.

McAdoo era stato decisivo anche nel coltivare il talento di Kenny Barlow: “Dopo una trasferta in cui aveva giocato male, lo sorprese a leggere i tabellini NBA su USA Today. Gli strappò il giornale dalle mani. Davanti a tutti gli disse che aveva fatto schifo e che giocando così non sarebbe mai andato nella NBA, era inutile che leggesse i tabellini. E aggiunse: gli italiani vogliono i tuoi minuti. Il messaggio era chiaro: se il coach fa giocare loro al posto tuo, avrà il mio appoggio”. Un’altra volta il coach in allenamento mise McAdoo con i ragazzini tra cui Riccardo Pittis contro i vecchi draghi tipo D’Antoni e Meneghin. “Ringrazia Bob per aver accettato la sfida ma lui mi disse che avrebbe vinto, che gli sfavoriti erano gli altri. E siccome Pittis passava la palla in modo un po’ troppo funambolico, lo appese al muro ricordandogli che non doveva osare fargli perdere la partita. Vinse la squadra di Bob 22-21. Pittis fu perfetto. E io mi presi i meriti del grande lavoro svolto su Riccardo…”

McAdoo era uno degli eroi della rimonta sull’Aris da meno 31. “Avevo paura a uscire dallo spogliatoio perché temevo che se l’avessi fatto mi avrebbero licenziato. Quella sera ricordo che Dino Meneghin quella sera era iperteso e McAdoo aveva notato che i peli sul braccio era dritti. Bob disse che dopo averlo visto così era certo della rimonta perché Dino era uno sdrammatizzatore. Alla fine mi disse che era stata la gara più intensa della sua carriera e l’unica volta in cui non pensò nemmeno per un attimo a segnare ma solo a prendere ogni rmbalzo, stoppare ogni tiro, cancellare il suo uomo”.

Sotto l’intervista integrale a Coach Dan Peterson su Bob McAdoo.

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