Qui la seconda parte di “Uomini di Olimpia” dedicata a Coach Dan Peterson che qui racconta alcuni momenti storici della sua carriera milanese.

Gallinari su Wright – “Non passa giorno che qualcuno non mi chieda di quella mossa. A Milano la stampa ha un atteggiamento ipercritico ma quella è stata la prima volta in cui, entrando in sala stampa, mi sono sentito dire: Dan sei un genio. Ho avuto la tentazione di montarmi la testa. Dissi grazie ma prima di arrivare a Gallinari ero passato da D’Antoni, Dino Boselli, Franco Boselli, Roberto Premier. Ma Gallo era un grande difensore”.

Mike D’Antoni – “Il merito di averlo portato qui fu di Adolfo Bogoncelli che aveva sempre avuto l’idea di prendere un oriundo e di Pippo Faina che lo scelse. Trovai un giocatore un po’ sfiduciato soprattutto nel suo tiro. Credo fosse il terzo anno: avevamo fuori Kupec, fuori Sylvester e dissi Mike devi tirare di più, almeno 12 volte ogni partita. Per lui era uno shock. Dissi: se fai 1/19 va bene, se fai 10/11 abbiamo un problema perché non hai tirato 12 volte. Così lui non aveva paura di non fare canestro ma di non tirare abbastanza. E quando è arrivato il tiro da tre gli dissi che se aveva la palla e non aveva il difensore addosso aveva l’ordine di tirare. Lui era un super in campo e forse ancora meglio fuori. Tutti gli americani venuti qui devono ringraziarlo. Lui e la moglie Laurel facevano tutto per permettere l’ambientamento. Non dico che facesse da baby-sitter ma era un collante nello spogliatoio e per me è stato una specie di braccio destro.  Un genio”.

D’Antoni sempre in campo – “Lì la stampa milanese mi ha messo in croce. Mi chiamavano il crudele Dan Peterson, perché non davo mai alcun riposo a Mike, che poi ha fatto la stessa cosa nella NBA con Steve Nash. La verità è che lui voleva stare in campo e io non volevo che lui stesse in panchina. Dicevo: Mike si riposerà… D’estate”.

Bob McAdoo – “Grandissimo uomo anche di allenamento. A lui dicevo: Bob non devi tirare 20 volte a partita, 19 va bene, 21 no. Poi qui si giocavano otto minuti in meno rispetto alla NBA e quindi 20 qui era come 24  laggiù. Gli spiegai che con le difese europee se avesse tirato 20 volte sarebbe arrivato stanco alla fine. Allora facemmo un patto: tira 19 volte poi se serve per vincere la partita potrai prendere il ventesimo tiro. Disse che pur avendo giocato e vinto la Finale NBA, pur avendo giocato le Final Four al junior college di Vincennes, la finale NCAA con North Carolina, la rimonta con l’Aris è stata la partita più intensa della sua vita. Era innamorato della squadra, dei compagni, ha presentato lui Dino Meneghin quando è stato inserito nella Hall of Fame, viene qui ogni estate…”

La rimonta sull’Aris – “Era il 1986/87, eravamo a ottobre, non eravamo in forma perché io pensavo sempre a preparare la squadra per primavera, per i playoffs e in più non sapevamo davvero quanto fosse forte l’Aris: non era come adesso con internet e i video. Non sapevamo bene chi fossero Giannakis, Subotic, Jackson. Poi l’ambiente era tremendo, monete, sputi, tutto. E perdiamo di 31. Io ero sotto shock. Ho pensato che mi avrebbero licenziato. Per una settimana non ho parlato con nessuno, Franco Casalini ha diretto tutti gli allenamenti e io, che non dormivo, mi appoggiavo al sostegno del canestro per non cadere. La prima volta ho parlato alla vigilia dicendo alla squadra che volevo vincere la partita anche di un solo punto. Non volevo che guardassero il tabellone ma il canestro, il pallone, l’avversario. Avrei accettato una vittoria di almeno un punto, battiamo la squadra che ci ha fatto fuori davanti alla nostra gente. Ma ho anche detto che se volevamo recuperare non dovevamo avere fretta ma recuperare un punto al minuto. All’intervallo eravamo avanti di 14. Poi + 34 alla fine, un punto al minuto nel secondo tempo. A fine gara mi alzo dalla panchina e mi arriva da dietro McAdoo dandomi una pacca sulle spalle. Mi dice “Dan l’abbiamo fatto!”. E io dico “Bob, è stato un miracolo”. Lui “Miracolo? Eravamo convinti tutti! Avevamo visto il nostro allenatore così calmo che sapevamo che ce l’avremmo fatta!”. In realtà ero sull’orlo del K.O.”

La Coppa dei Campioni – “Mi ha convinto a ritirarmi perché era il completamento del Grande Slam, il coronamento di un sogno, e pensavo di essere sul tetto del mondo dopo tanti anni”.

Il ritorno in panchina – “E’ stata la trattativa più veloce della storia dello sport. Quando il Presidente Proli mi ha proposto di tornare ad allenare l’Olimpia. Ho detto “Accetto!”. Subito. E’ stato bellissimo. Quando siamo stati eliminati ero dispiaciuto per la squadra perché ero innamorato di quella squadra e alla fine ho ringraziato tutti”.

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