Richard Hendrix è l’unico giocatore dell’EA7 Emporio Armani Milano debuttante nel campionato italiano. Oggi ad Alzano Lombardo contro l’Angelico Biella (palla a due alle 18.30, ingresso libero) gioca la sua prima partita vera con nell’Olimpia. Hendrix è la novità della squadra, ha giocato prima a Granada e poi due anni al Maccabi Tel Aviv, l’ultimo con Keith Langford al fianco. Viene dall’Alabama e da bambino ha giocato… a tutto. Read More “Il mio primo amore è stato il baseball, lo seguo anche oggi, gli Atlanta Braves sono la mia squadra preferita, li guardo appena posso in tv. Avrei potuto giocare anche a football perché le mie caratteristiche fisiche (statura, forza, mani buone per ricevere) avrebbero fatto di me un buon tight-end. E Philip Rivers, il quarterback dei San Diego Chargers, ha frequentato la mia stessa high school. Però non ho rimpianti, mio padre Venars era un allenatore (l’ha allenato al liceo ed è anche un coach di tennis – ndr) e io giocavo a tutto ma il basket mi è venuto bene – racconta – Naturalmente nemmeno nei miei sogni più strani a quei tempi avrei immaginato di trovarmi a Milano a giocare a basket un giorno Oggi è eccitante farlo”. Ai tempi del liceo avrebbe potuto giocare all’università del North Carolina, una delle più quotate del paese. Invece scelse di giocare per i Crimson Tide di Alabama. “E’ la domanda cui ho dovuto rispondere più spesso: come puoi scegliere Alabama e non North Carolina? Ma è semplice: ho scelto l’università di casa. L’altra è Auburn ma chi va ad Alabama o segue Alabama non apprezza Auburn, dove andò Charles Barkley. La rivalità è sentitissima, specie nel football. Ma è una cosa seria dalle nostre parti”. Non solo: anche le sue sorelle maggiori hanno frequentato Alabama. Quella è l’università di famiglia. Hendrix arrivò in Europa per giocare in Spagna dove lo shock culturale fu fortissimo. “In realtà ero stato prima a Golden State. La mia prima partita amichevole fu contro Oklahoma City, ebbi 13 punti e 12 rimbalzi. Un grande esordio ma in campionato non ebbi mai la possibilità di giocare. La D-League era un livello più basso che qui in Europa. A Granada dovetti superare i problemi di lingua e la nostra squadra era una specie di multinazionale, c’era Jon Stefansson dall’Islanda, Teemu Rannikko dalla Finlandia, Joe Ingles dall’Australia, un paio di spagnoli, io e Jimmie Hunter dagli Stati Uniti. In questi casi tutti devono impegnarsi di più per far funzionare le cose. Andò bene. Giocare in Europa mi ha dato la possibilità di imparare tante cose, è stata la miglior educazione che potessi ricevere. Come giocatore sono ancora in fase di apprendimento”. Da Granada al Maccabi. “Due anni belli in cui ho assaggiato la vittoria. Lo scorso anno abbiamo giocato 86 partite e ne abbiamo vinte 74, abbiamo vinto l’Adriatic League e solo una sconfitta di un punto con il Panathinaikos ci ha impedito di tornare alle Final Four”. Adesso Milano: “Gioco per un marchio che nel mondo è sinonimo di eleganza, grazia, stile. Sono uno che gioca dentro l’area, rimbalzi, stoppate, tante cose piccole che non si vedono, noi le chiamiamo intangibles e aiutano la squadra a vincere”. Sul sito dell’università dell’Alabama, Hendrix paragonò il suo stile a quello di Elton Brand, giocatore NBA di Clippers, Chicago, Philadelphia e ora Dallas, ma il suo giocatore preferito resta Tim Duncan, “mi rivedo molto in lui soprattutto come atteggiamento, lotta, gioca, segna, fa tutto ma sempre in modo serio. Non lo scompone nulla. Tutti vorrebbero essere Michael Jordan, anche io, ma il mio preferito resta Duncan”.

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