Mercoledì 5 settembre ci saranno tanti motivi per essere a Reggio Emilia. Naturalmente, la sfida tra l’ambiziosa squadra locale, la Trenkwalder, che torna quest’anno in Serie A, e l’EA7 Emporio Armani Milano, alla seconda uscita in assoluto. In campo giocatori nuovi, attrazioni, giovani capaci. Ma uno dei motivi più forti è onorare la memoria di Pino Brumatti, uno dei più grandi giocatori espressi dal basket italiano, esempio di longevità, scomparso a soli 62 anni a Gorizia, circa 18 mesi addietro. La partita sarà il “Memorial Brumatti” perché mette di fronte due delle squadre alle quali ha legato la sua lunghissima storia di fuoriclasse. Goriziano, emerso al Simmenthal, poi ha giocato a Torino, Reggio Emilia, Siena e Verona. E l’incredibile di questo fuoriclasse è che ovunque sia stato è diventato anche una sorta di bandiera per la società. Un campione apprezzato, un esempio.

Ma l’Olimpia è il club con cui ha speso più tempo, dieci anni dal 1967 al 1977. Arrivò poco più che bambino, allevato da Sandro Gamba che ricorda come – innervosito da un suo errore in allenamento – ruppe il proprio Rolex e poi pensò che in effetti ne era valsa la pena. Raccontò l’episodio quando Brumatti fu inserito ufficialmente nella Hall of Fame del basket italiano, pochi mesi prima di lasciarci.

Vinse un solo scudetto, Brumatti, ma con l’Olimpia giocò tre spareggi consecutivi contro l’Ignis Varese, in una rivalità che spaccò in due l’Italia all’inizio degli anni ‘70. L’Olimpia vinse solo uno di quei tre spareggi. Brumatti vinse meno di quanto avrebbe potuto e dovuto forse, così come la sua esperienza azzurra fu forse meno appagante di quanto avrebbe dovuto. Giocò due Europei, Brumatti, solo due, ma anche due Olimpiadi, a Monaco nel 1972 quando fummo quarti perdendo il bronzo contro Cuba, e nel 1976 a Montreal, dove raccogliemmo un quinto posto che avrebbe potuto essere un’altra cosa se Moka Slavnic nella decisiva partita con la Jugoslavia sulla sirena non ci avesse bruciato le ambizioni. In Serie A, Brumatti segnò 8755 punti in 620 partite, ma scese anche in A2 o in B salvo risalire sempre.

Aveva il palleggio, arresto e tiro più bello, da manuale, non era altissimo (1.90) e aveva forse qualche chilo di troppo addosso, ma anche tanta potenza, era un attaccante strepitoso. Ha vinto anche una Coppa Italia con Milano, tre Coppe delle Coppe, l’ultima nel 1976, la stagione della retrocessione che cancellò lui stesso vincendo per la prima volta la A2 nella stagione seguente. Mercoledì la partita di Reggio Emilia sarà anche un’occasione per ricordarlo.

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