Joe Barry Carroll arrivò a Milano in circostanze fortuite. Scelto al numero 1 del draft NBA del 1980 finì nel mezzo di uno scambio storico ovvero la cessione di Robert Parish e della scelta numero 3 (che sarebbe stata usata per prendere il grande Kevin McHale) da Golden State a Boston in cambio della 1. Appunto Carroll. JB fece abbastanza bene ai Warriors da imporsi come uno dei centri più tecnici, eleganti e effettivamente dotati della Lega. Uomo da oltre 20 punti di media (20.5 l’anno prima di venire a Milano, 24.1 quello precedente), nel 1984 era senza contratto ma ancora vincolato ai Warriors: la disputa contrattuale assunse una brutta piega, Carroll non cominciò la stagione e alla fine per forzare la mano a Golden State accettò la proposta di Milano. Era chiaro che un giocatore del calibro di Carroll non sarebbe mai rimasto più di un anno ma in quella stagione a Milano venne visto il centro che in America non hanno mai ammirato. Contagiato dal clima all’interno del gruppo, Carroll mostrò non solo tecnica e classe ma anche presenza fisica, carattere. Nell’abbraccio a Premier nel finale della partita scudetto di Pesaro c’era tutto Carroll. Con lui l’Olimpia diventò la prima squadra a chiudere un’edizione dei playoff imbattuta. Vinse anche la Coppa Korac. L’unico rammarico fu non giocare la Coppa del Campioni. Carroll arrivò per sostituire Wally Walker, ala piccola, veterano NBA, intelligente. Si pensava che avrebbe rimpiazzato il giovane Schoene ma proprio in extremis, questi alzò il livello delle proprie prove e convinse Peterson di poter giocare bene anche da ala piccola. Fu una mossa coraggiosa: per inserire Carroll, Peterson scelse di giocare con due centri, due uomini d’area e Meneghin, che stava viaggiando oltre i 20 di media, fu spostato in un ruolo offensivamente secondario. Venne modificata una spada che funzionava ma con Carroll diventò ingiocabile almeno in Italia. E Carroll completo una stagione vincente per la prima e unica volta in carriera.