Un giorno Mario Fioretti, 43 anni appena compiuti, decise di diventare un allenatore. Aveva giocato a livelli minori, era dotato, un tiratore e realizzatore, un agonista che tendeva a dimenticare la difesa. da buon perfezionista, quando decise di allenare, decise di andre a studiare dal migliore di tutti. Da Bobby Knight, all’università dell’Indiana.

Knight all’epoca era all’apice di una storia di allenatore che l’ha portato a vincere tre titoli NCAA e i Giochi Olimpici di Los Angeles con l’ultima Nazionale americana capace di conquistare la medaglia d’oro olimpica senza i giocatori NBA. Ma al di là delle vittorie, Knight era un insegnante: il motion offense e la help and recover. Fioretti non poteva scegliere un insegnante migliore per il suo anno da studente a Indiana. Lì costruì le basi per la sua carriera futura. Al rientro in Italia, venne assunto dall’Olimpia. In circostanze rocambolesche: “Il capo allenatore era Attilio Caja: dovevo entrare nel suo staff – ricorda Fioretti – ma il colloquio cominciò male. Dissi che volevo aiutare, invece avrei dovuto dire che volevo imparare… Attilio si arrabbiò. Pensai di aver rovinato tutto. Invece la sera mi richiamarono ero dentro”. Fioretti tra giovanili e prima squadra sarebbe diventato un uomo Olimpia, il più longevo, apprezzato per l’etica lavorativa, l’atteggiamento e la straordinaria preparazione.

Fioretti è l’allenatore che quando la squadra festeggia una vittoria è al video per “tagliare” la partita possesso dopo possesso e analizzarla. Può dirti la percentuale di successo di un gioco, di una scelta difensiva, quanto gli avversari usano il pick and roll o vanno in isolamento. Una volta un allenatore venuto a Milano a studiare, un coach cinese, chiese a Mario se avesse il playbook di qualche altra squadra di EuroLeague. Fioretti li aveva tutti. Di tutte le stagioni in cui è stato coinvolto nella competizione.

Al culmine della sua crescita, venne portato in Nazionale da Simone Pianigiani. Quando questi fu sostituito da Ettore Messina, il nuovo commissario tecnico volle conoscerlo e verificare il suo lavoro. Gli bastarono pochi minuti per capire che Fioretti era un patrimonio della Nazionale, anche se purtroppo l’auspicato viaggio olimpico a Rio de Janeiro non c’è stato.

Fioretti è l’allenatore che quando la squadra piange su una sconfitta, è al video. Che quando rientra a casa dopo le partite interne si siede accanto alla moglie, non al volante, per continuare a lavorare, per mangiare minuti utili al suo lavoro, è l’allenatore che può dirti, con certezza, dove e come una partita è stata decisa, cui basta sentire la chiamata del playmaker avversario o dell’allenatore per anticipare quello che succederà. E gridare cosa sta per accedere. Alle volte è quasi una condanna: sapere prima cosa sta per succedere ma potersi limitare solo ad urlare un’indicazione nella speranza venga recepita in una frazione di secondo.

Della stessa serie già pubblicati: Lupo Rossini, Massimo Cancellieri

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