C’era scritto sulle maglie che i giocatori hanno indossato mentre il cerimoniale previsto per la premiazione veniva sventrato dalla gioia, troppo grande per essere contenuta, dei 12.300 molto abbondanti del pubblico di Milano. “Red Shoes Are Back”, lo slogan scelto per celebrare il ritorno dell’Olimpia nell’Europa che conta, veniva buono anche per accompagnare lo scudetto numero 26, diciotto lunghi anni dopo l’ultimo. “Red Shoes Are Back” mentre David Moss si appuntava sul petto lo scudetto consecutivo numero 4, il secondo per Kristjan Kangur e Daniel Hackett. L’ha detto Daniel nel chiuso dello spogliatoio al presidente Livio Proli: “Pensavi davvero ti lasciassi senza trofei?”. Poi tra champagne, spumante e altro, la festa è proseguita con tutta la famiglia dell’Olimpia e le famiglie quelle vere da Nobu, il ristorante del gruppo nel cuore di Milano, fino all’alba. Ballando e cantando. Perché “I campioni d’Italia siamo noi”. Una notte fantastica, per cuori forti, una gara dominata, poi persa, poi riacciuffata ribellandosi al destino.

La notte prima di gara 6, a Siena, nel gruppo “WhatsApp” della squadra era comparso un video che ricordava a tutti le grande rimonte in situazioni simili, di grande pressione. Rimonta prodotte da fuoriclasse come James Worthy, Hakeem Olajuwon, Kobe Bryant o LeBron James ma che sarebbero state impossibili senza l’ausilio della squadra. Il messaggio contenuto nel video voluto da Flavio Portaluppi era chiaro. C’era scritto alla fine: “Olimpia Milano, down 2-3 in the Italian League Finals, will stay together, will play together and will win Game 6 and 7 bringing the championship back where it belongs”. E i ragazzi hanno eseguito, sono stati insieme, hanno giocato di squadra e hanno vinto riportando il titolo nella bacheca della squadra più blasonata d’Italia. D’altronde era il “Nostro Momento” perché il “Loro” di momento era finito. Chiuso. Terminato. Era il momento della scarpette rosse. Di Alessandro Gentile, Mvp a 21 anni, da Capitano, abbracciato nello spogliatoio alla fidanzata Isabel e al padre Nando che indossava la sua maglia numero 5. Era il momento di Nicolò Melli, record carriera di rimbalzi, 13, in gara 7. Seconda doppia doppia della carriera in gara 7. Una prova mostruosa per intensità e carattere. Melli, che da Nobu, teneva banco con tutta la sua famiglia, numerosissima mentre in un angolo Mario Fioretti saltava, saltava, come uno che è qui da tanti anni e finalmente ha potuto vincere.

E potrà dire, Fioretti, del patto di Wroclaw. La notte della vittoria nel torneo prestagionale polacco, in un ristorante italiano, a notte fonda, quando accettò, in cambio della promessa scudetto, di bere una vodka, lui astemio da sempre, nemico dell’alcool. Questo si fa per uno scudetto che è frutto anche di mille scaramanzie, di tanti piccoli episodi ma di recente è stato frutto soprattutto delle promesse di Ale Gentile. Che aveva garantito tante cose, i successi di Sassari e poi quello di Siena ad esempio.

Nello spogliatoio è arrivato il Signor Armani accolto dal grido “Giorgio, Giorgio” della squadra. Lo avevano fatto un’altra volta, dopo il successo sul Barcellona in Eurolega quando furono invitati sempre da Nobu a cena. Ma quella era stata una bella serata tranquilla, qualche brindisi, ma nulla in confronto alle scene di ieri sera. Anche in spogliatoio, tutti i vestiti rovinati dallo champagne che pioveva dovunque, anche davanti al Signor Armani, anche davanti a telecamere, taccuini e macchine fotografiche perché non c’è un limite alla gioia quando è spontanea.

E poi ancora Nobu, dove Luca Banchi, medaglia al petto, abbracciava Silvia che a sua volta portava come gli altri membri della famiglia una maglia rossa con la scritta “E Alla Fine Vince Sempre Luca Banchi”. Per il Coach è l’ottavo scudetto consecutivo ma l’11° contando quelli giovanili di Livorno. Per lui festeggiare ha significato salire in macchina alle prime luci dell’alba per recarsi a San Patrignano a fare un clinic. Ognuno festeggia a modo suo. Ma stanotte a Milano si è festeggiato sul serio. Perché “Red Shoes Are Back”.

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