Ci sono due modi per parlare di Giustino Danesi, il preparatore atletico dell’Olimpia, alla quarta stagione nello staff tecnico biancorosso. Ci si può soffermare prima di tutto sull’aspetto tecnico: Danesi ha vinto cinque degli ultimi sei scudetti, è una presenza fissa nelle foto celebrative di fine stagione, è uno dei leader italiana del settore, attento, stimato, capostipite di una generazione di preparatori. Poi c’è l’aspetto umano: Danesi è quello che gli americani chiamano “the life of the party”, istrione, divertente, entusiasta. Una persona acculturata, che non affronta nessuna trasferta senza un libro, che regala e consiglia libri, che ascolta musica e ama il cinema d’autore, lontano dallo stereotipo del preparatore tutto muscoli e proteine.

Chi lo conosce giura che il successo di Danesi è nell’abilità di parlare non solo ai muscoli ma anche al cervello dei giocatori, alla loro anima. Giustino Danesi è l’uomo che sussurra agli atleti, quando sono insicuri, quando un infortunio ne ha minato le certezze, quando realizzano piano piano che ascoltandolo migliorano fisicamente e poi come giocatori. E’ successo anche a Keith Langford non solo ai tanti italiani che stravedono per i suoi metodi e le sue indicazioni.

E’ stato definito il primo preparatore rockstar perché è diventato il primo a bucare lo schermo, a diventare un volto noto, a non riempirsi la bocca di spiegazioni scientifiche o di divulgare il verbo con l’arroganza dei risultati, ma con il sorriso di chi sa essere serio e prendersi in giro. Perché il lavoro del preparatore è ingrato: ti accorgi del suo lavoro quando arriva un infortunio di troppo o si subisce una rimonta nell’ultimo quarto. Nessuno lo nota quando invece arriva una vittoria in rimonta o quando arriva alla finale scudetto con il 100% di giocatori disponibili e in salute dopo una stagione da 80 partite.

Giustino Danesi è teramano, ex ostacolista (ostacoli alti, i 400) di eccellente caratura, ma la vocazione da allenatore per gli sport di squadra (oltre a qualche puntata nel tennis), pallamano prima (a Teramo può succedere) e basket dopo. Ha girato l’Italia, trovando la sua consacrazione in Toscana prima a Livorno e poi a Siena. Ama Praga, la Repubblica Ceka e in generale i paesi dell’est. Ha provato a lavorare in Banca perché era un lavoro sicuro. Ma è durato una settimana: sedersi ad una scrivania, tra banconote, assegni e numeri non faceva per lui. I numeri che contano sono altri: la percentuale di massa grassa, i secondi da dedicare ad un esercizio, il numero di ripetute stabilite per ogni giocatore o di concerti visti in un anno, svariando da Florence And The Machine e passando per Loredana Bertè. Questo è Giustino Danesi, Just per tutti.

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