Un’intervista, le immagini, il racconto. In questa speciale produzione di Olimpia Milano Tv il documentario sulla storia milanese di Dino Meneghin, dall’acquisto da Varese ai trionfi di un decennio magico.

 

Nel 1970 Dino Meneghin fu il primo giocatore italiano scelto da un club NBA. Lo chiamarono gli Atlanta Hawks ma lui lo seppe solo molto tempo dopo. Aveva appena compiuto 20 anni e la sua storia, di più grande giocatore italiano di sempre, era appena agli inizi.

Dino Meneghin fu strappato all’atletica leggera, al lancio del peso, da Nico Messina, grande coach di Varese. La storia non sarebbe più stata la stessa. Con Meneghin, l’Ignis ha costruito una dinastia giocando 10 incredibili finali di Coppa dei Campioni consecutive vincendone cinque.

Ma in quegli anni più di ogni altra cosa,  Varese era la grande nemica del Simmenthal contro cui giocò tre spareggi in tre anni per assegnare lo scudetto.

Meneghin era il centro dell’Ignis: per arginarlo l’Olimpia aveva due armi. La tecnica di Massimo Masini e la ferocia agonistica di Arthur Kenney. Varese vinse due di quei tre spareggi mentre il Simmenthal conquistò nello stesso periodo due Coppe delle Coppe. Ma negli anni ’70, il predominio di Varese, una squadra fortissima con fuoriclasse come Manuel Raga, Bob Morse, Ivan Bisson, Aldo Ossola, Marino Zanatta, Charlie Yelverton, coincise con la retrocessione dell’Olimpia in A2. La rivalità sarebbe stata riesumata solo verso la fine del decennio grazie alla Banda Bassotti di Dan Peterson.

Fino a quando nel 1981 Dino Meneghin venne acquistato dal Billy Milano

Meneghin a Milano fece subito quello che era abituato a fare a Varese: vincere. Nel 1982 arrivò il primo scudetto poi ne arrivarono altri quattro ma ci furono anche quattro finali perse tra coppa e campionato.

A Milano, Dino Meneghin, Superdino come lo chiamavano tutti, non solo dimostrò di non essere affatto vecchio ma di sapersi adattare a qualsiasi esigenza. Accettò di fare il gregario per fare coppia con Joe Barry Carroll, di giocare ala forte in difesa per esaltare Bob McAdoo o di difendere sull’ala piccola a 38 anni di età per vincere la seconda Coppa dei Campioni nel 1988.

Ma soprattutto Meneghin è stato il giocatore più forte di carattere che abbia mai giocato in Italia.

Finale di Coppa dei Campioni del 1987: aveva una lesione muscolare, giocò lo stesso, si fece piegare dai crampi ma non mollò mai e vinse. Quella finale di Coppa dei Campioni fu resa possibile dalla clamorosa, epica, irripetibile rimonta da meno 31 sull’Aris Salonicco. Meneghin, istrione, stravagante, scherzoso, approcciò quella partita con una tensione che non gli era riconosciuta. Il primo a notarlo fu Bob McAdoo.

Tutte queste vittorie, il più grande decennio della storia dell’Olimpia, furono costruite attraverso l’irresistibile forza del gruppo, costruito attorno alla leadership di Dan Peterson e in campo di Mike D’Antoni.

Lo scudetto di Livorno nel 1989 fu il canto del cigno di quel gruppo. Roberto Premier andò via a fine stagione, Dan Peterson l’aveva già fatto, D’Antoni, Meneghin e McAdoo restarono un altro anno. Poi iniziò una nuova storia anche se Meneghin avrebbe giocato fino a 44 anni aggiungendo alla sua storia di vittorie anche il record di longevità agonistica.

Prima di Carlton Myers e Gregor Fucka, prima di Andrea Meneghin e Gianluca Basile, prima di Bargnani, Belinelli e Gallinari, prima di tutti i talenti prodotti dal basket italiano, prima di tutti loro, c’è stato Dino Meneghin. Non solo un grande giocatore, un guerriero, ma una stella disposta a sacrificare tutti per un bene più prezioso. La vittoria.

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