La partita con Varese,  seconda giornata di campionato,  non poteva seguendo la logica assumere i contorni della gara decisiva, eppure,  date le circostanze,  il contesto, non poteva che essere affrontata con una buona dose di nervosismo.  Intanto l’Olimpia veniva da due sconfitte in trasferta e la consapevolezza di affrontare una squadra già  testata dal preliminare di Eurolega e soprattutto reduce da una grande stagione oltre che capace l’anno prima di strapazzare l’Olimpia quattro volte su quattro. La gara con Varese, dopo quella con Cantù, è sempre la più sentita della stagione e si rivelò ancora una volta difficile, complice nel secondo tempo una spettacolare serie di canestri di Achille Polonara, ma infine controllata grazie ad una prova maestosa di Samardo Samuels,  che oltre a produrre una doppia doppia,  con 21 punti,  ovvero quello che sarebbe rimasto il suo primato stagionale fino all’ultima di regular season, completò il gioco da tre punti risolutivo con tanto di schiacciata.  Per tutto l’anno Sam ci avrebbe abituato a questo genere di esplosioni atletiche improvvise alternate a momenti di difficoltà nel finire un movimento vicino al ferro, ovvero ciò che lo separa dallo status di giocatore dominante, ampiamente alla sua portata.

Samardo Samuels viene da Trelawny in Giamaica,  luogo noto nel mondo dello sport per aver dato i natali a Usain Bolt, il re dello sprint mondiale. Ma Sam aveva altre idee, era cresciuto con la passione per il calcio,  giocava e lo guardava in tv, calcio inglese ma anche italiano con tanto di amore mai nascosto per i colori rossoneri.  Ma un giorno lo convinsero a provare con il basket, di cui sapeva pochissimo. “La ragione è che la squadra della mia scuola aveva bisogno di un ragazzo alto e io ero il più alto e il più grosso”. Poco dopo venne invitato ad un camp per ragazzi giamaicani promettenti e con la realistica possibilità di andare a studiare negli Stati Uniti. Lo scelsero subito. La mamma, cui è legatissimo e che l’ha accompagnato nelle prime settimane della sua avventura milanese,  non l’avrebbe lasciato andare ma ebbe la meglio il padre taxista.  In breve Samuels  si trovò a New York, meglio a Long Island, con i suoi ritmi stressanti, lontani dalle sue abitudini e dalla sua cultura.  Ma fin da allora Sam mostrò la grande capacità di adattarsi o di adattare il suo stile di vita ad ogni tipo di contesto.  Giocò due grandi partite contro la St.Benedict’s High School allenata dal quotatissimo Danny Hurley. Questi lo convinse a trasferirsi per giocare ad un livello superiore.  Samuels diventò il miglior centro liceale d’America, improvvisamente tutti i college avevano una borsa di studio,  un posto in quintetto e la corsia giusta per andare nella NBA, da offrirgli.  Prevalse Rick Pitino spiegandogli come fosse stato capace di allenare un altro giamaicano, Patrick Ewing a New York.  Fu allora che Sam scopri le origini di Ewing anche  se il suo idolo continuava ad essere Tim Duncan. A Louisville, Samuels rimase solo due anni, giocò una Final Four, rimase legato a Pitino ma se ne andò per la NBA troppo presto. Nei draft non venne scelto ma subito dopo Cleveland gli propose un contratto triennale garantito. Samuels ebbe una promettente prima stagione, una seconda in calo e durante la terza si ritrovò in Israele all’Hapoel Gerusalemme. Nella NBA fece in tempo a giocare una grande partita contro l’idolo Tim Duncan. “Era la mia prima volta in quintetto, contro il mio idolo. Ero ispirato e segnai 21 punti”. A fine gara si attaccò al telefono per raccontarlo alla mamma. Quello resta il momento più alto della carriera di Samuels. Ma nell’estate del 2013, Samuels, appena 24enne, aveva soprattutto un desiderio, che era quello di giocare. “Alla mia età non mi vedo in panchina, voglio stare in campo e giocare”. Così nacque la volontà di sbarcare a Milano. Dove Sam ha mostrato tutte le luci del suo carattere, ad esempio la scelta di colorare i capelli di rosso, alla Dennis Rodman, o di acquistare una bicicletta per venire al Lido, ad allenarsi, su due ruote. Ma questi tratti effervescenti alle volte nascondono un talento non indifferente, la capacità di passare la palla per battere i raddoppi o una mano educata, che l’ha spinto a costruirsi un discreto tiro da tre punti, a metà stagione diventato quasi parte del suo repertorio a patto che non ne abusasse.

Dopo la doppia doppia della partita di Varese, Samuels avrebbe giocato le sue partite migliori nei playoffs, a costo di arrivare stanco alle ultime battute della finale. Quando all’ultima di regular season, l’Olimpia vinse a Siena lui fece 8/8 dal campo. Poi ci furono 23 punti e 8 rimbalzi in gara 1 contro Sassari; i 13 punti e 13 rimbalzi di gara 4 a Sassari; i 20 punti e 15 rimbalzi di gara 2 di finale contro Siena. “Samuels ha sfruttato solo una parte del suo enorme potenziale”, è l’opinione di Coach Luca Banchi. Dicono che Othello Hunter, il centro di Siena, abbia visto tutte le clip di Samuels prima di affrontarlo in finale, memore di quanto accaduto in regular season. Ma il Samuels delle ultimissime partite era un giocatore che aveva tirato la corda, ma dopo aver disputato tante partite da vero gladiatore d’area, uno dei pochi centri capaci di avere un ruolo fondamentale in attacco, dal post basso. “Il tiro da fuori mi aiuta – dice – ma io mi sento un giocatore d’area, adoro l’aspetto fisico della competizione. Mi sento un centro”. In Eurolega contro il Maccabi ha sperimentato la battaglia contro un elemento devastante dal punto di vista fisico come Sofo Schortsianitis, “duelli che mi hanno insegnato tanto”. Così fuori dal campo l’ambientamento è stato rapido, quasi indolore a parte qualche difficoltà nel capire dove si può e non si può parcheggiare l’auto. “La mia stagione? Non sapevo a cosa sarei andato incontro ma è andata molto meglio di quanto pensassi. Ho trovato una famiglia, amici”. Leggendaria la sua passione per l’acqua, il mare. A Sassari, in semifinale, con un tempo stupendo, per lui fare check-in e tuffarsi in piscina erano eventi praticamente contemporanei. “I love the water”, una delle sue frasi preferite. Ma in campo ha onorato il suo soprannome di guerriero. Si era visto fin da quella partita con Varese.

Il momento peggiore fu nella freddissima e nevosa notte di Kaunas quando l’Eurolega continuava a sembrare un’animale difficile da addomesticare nonostante fosse arrivata la vittoria esterna di Bamberg e la squadra avesse già confezionato una memorabile rimonta da meno 15 contro l’Efes esattamente una settimana prima. Nel primo tempo, in un’entrata, Samuels lasciò la mano destra sul ginocchio di Lavrinovic. Nella ripresa tentò di rientrare ma con risultati pessimi. Coach Banchi lo rimise in panchina. A fine gara venne trasportato in ospedale dal dottor Acquati. Il verdetto fu spietato: frattura. Samuels dovette rientrare in Italia mentre la squadra si dirigeva a Roma, operarsi, fermarsi. Il peso della sua assenza non è mai stato considerato ma l’Olimpia senza Samuels perdeva profondità in attacco, il suo miglior giocatore di post basso. In più l’assenza ha rallentato Samuels nel momento dell’adattamento alla nuova realtà. Per rivedere il Samuels della gara di Varese sarebbe servito ancora qualche tempo. Ma l’avremmo rivisto. E tanto. (7-continua)

 

Condividi l’articolo con i tuoi amici e supporta la squadra

Condividi l’articolo con i tuoi amici e supporta la squadra

URL Copied to clipboard! icon-share