Non c’è dubbio che la notte più lunga e difficile della stagione sia stata quella della sconfitta con Sassari nei quarti di finale di Coppa Italia. C’erano grandi aspettative su quel torneo e ovviamente una grande voglia di trasformarlo nell’occasione giusta in cui interrompere il lunghissimo digiuno di successi. Esistevano tanti motivi per essere ottimisti: l’Olimpia in campionato aveva vinto le ultime otto partite e in Eurolega stava giocando una Top 16 importante con successi di prestigio nonostante la beffa di Istanbul parzialmente corretta vincendo a Milano contro l’altra squadra di Istanbul, il Fenerbahce. Inoltre era prima in classifica e in grande crescita di rendimento.

Il coach Banchi era stato però profetico alla vigilia suggerendo di non prodursi in pronostici che sarebbero inevitabilmente stati smentiti per la natura stessa della competizione. Non a caso nella stessa giornata inaugurale, pur falcidiata da  assenze importanti Reggio Emilia ebbe la meglio sulla favorita Cantù. Altro fattore sottovalutato dalla critica: la pericolosità di Sassari soprattutto nella singola partita.

L’idea,  giocandosi a Milano, era quella di affrontare il quarto di finale come se fosse una normale partita casalinga quindi con shootaround al mattino e ritrovo in spogliatoio 90 minuti prima della palla a due. Ma qualora si fosse vinto l’intera squadra si sarebbe trasferita in hotel dove sarebbe rimasta fino al termine della competizione. In ogni caso dopo il quarto di finale tutto il gruppo avrebbe cenato assieme ed è questo particolare che tramutò quella notte nella più lunga e dolorosa dell’anno. La cena diventò un funerale ovviamente senza parole pronunciate, al massimo sussurrate, in un clima surreale fatto di rabbia e rimpianti.

Lo sviluppo della partita è noto e avrebbe accompagnato l’Olimpia per mesi. La partita sarebbe diventata per i media il simbolo delle occasioni perse o dell’incapacità di vincere le gare decisive, concetto che sia in Eurolega che soprattutto nei playoffs di campionato sarebbe stato spazzato via. Ma quel giorno diventò in effetti un incubo con il quale convivere a lungo. L’Olimpia dominò quella partita in lungo e in largo per almeno 25 minuti. Ebbe solo la responsabilità di non aver tramutato la superiorità di gioco in un vantaggio adeguato. Lasciò la porta aperta e Sassari ebbe il merito di non permettere che venisse chiusa. Il momento chiave fu il buzzer del terzo quarto. L’Olimpia aveva ancora 10 punti di vantaggio pur avendo giocato un terzo periodo inferiore ai primi due. Ma Drake Diener,  che sarebbe stato capocannoniere e Mvp della stagione,  lanciò per aria un pallone da oltre metà campo. Non si trattò di un tiro paragonabile al colpo di fortuna di Zoran Planinic a Istanbul per distanza e dinamica,  ma fu comunque un altro tiro incredibile scagliato da abnorme distanza e baciato dal tabellone. Non fu di per se stesso decisivo ma un vantaggio ancora considerevole di 10 punti venne ridotto a sette punti e l’inerzia della gara si spostò dalla parte di Sassari. Non c’è la prova che senza quella tripla Sassari non avrebbe vinto comunque ma lo scarto conclusivo fu due punti e quindi anche numericamente quel tiro ebbe il suo peso. Di sicuro diede fiducia a Sassari e insinuò il tarlo del dubbio nella testa dei giocatori di Milano. Il quarto periodo fu nelle mani di Sassari, l’Olimpia provò a ribellarsi ma senza lucidità e perse. 82-80.

Quanto successe nei giorni seguenti con la ben nota protesta di un gruppo tifosi che poi ha generato una sorta di spiacevole spaccatura fa parte della storia di questa stagione. Qui vale la pena solo ricordare che a differenza dell’eliminazione della stagione precedente, questa era molto poco in linea con quanto la squadra stava mostrando sul campo. In campionato dov’era prima in classifica. In Eurolega dove aveva battuto Olympiacos e Fenerbahce ed era in corsa per i playoffs. Insomma la delusione era fortissima ma tutto lasciava presumere che si trattasse di un episodio negativo,  certamente grave e deprimente ma non il segnale vero di una squadra senza cuore o anima. Per questo dopo la delusione l’obiettivo era essenzialmente quello di non perdere il controllo dei nervi e della situazione ma di proseguire il cammino intrapreso perché i segnali non erano stati, dopo la batosta di Cantù, altro che positivi. (17-continua)

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