Cinque membri nella Hall of Fame mondiale di Springfield, dove il basket è nato alla fine dell’800. Ed è solo una considerazione statistica, perché l’Olimpia ha scritto la storia del basket, a Milano, in Italia e nel mondo. Per non perderla mai di vista, questa storia, la società ha voluto creare la propria Hall of Fame sociale, un modo per rendere omaggio al proprio passato, alle proprie radici, come fatto con il ritiro della maglia numero 18 di Arthur Kenney. Con alcune regole: 1) si viene ammessi dopo aver cessato l’attività per i giocatori (ecco perché non c’è ancora ad esempio Danilo Gallinari) e comunque dopo aver lasciato il club Olimpia da allenatori o dirigenti (Flavio Portaluppi è presente come giocatore); 2) le porte non si chiudono mai: l’elenco che troverete è frutto di studi, analisi e confronti con alcuni grandi saggi come Sandro Gamba, Dan Peterson, Franco Casalini ma tutto può essere ridiscusso; 3) l’aspetto tecnico, rendimento, qualità e vittorie non sono stati gli unici elementi considerati. Hanno avuto un ruolo anche la durata della milizia biancorossa, la percezione pubblica, il fascino esercitato su città e ambiente. Bill Bradley ha giocato 10 partite da straniero di coppa ma il titolo europeo del 1966 è comunemente associato alla sua presenza, quindi è dentro, come JB Carroll che è rimasto meno di un anno. Nei prossimi giorni uno ad uno tutti gli Olimpia Hall of Famer verranno raccontati. Chi volesse saltare un passaggio invece può andare direttamente alla sezione “Hall of Fame” dentro la “Storia” e leggere anche tutto subito.

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