Mancano 68 giorni al “Celebration Day” del 6 marzo

La storia dell’Olimpia è costellata di grandi imprese ma nessuna è più grande di quella che si consumò il 6 novembre 1986, a inizio stagione, contro l’Aris Salonicco. Quella straordinaria rimonta da meno 31 è tale anche per quello che ha generato in seguito. Senza quell’impresa a Lampugnano, non ci sarebbe stata la Coppa dei Campioni del 1987 e neppure il Grande Slam. “Erano tempi diversi, non c’era internet, lo scouting era agli inizi e non avevamo la percezione di cosa fosse davvero l’Aris”, ricorda Dan Peterson. Certo, Nick Galis era un fuoriclasse ma si sarebbe affermato negli anni seguenti, così Panagiotis Iannakis. L’Aris era la squadra più temuta di Grecia ma l’Italia era abituata a dominare e quello era solo il turno preliminare di Coppa dei Campioni. L’Olimpia nella sua partecipazione precedente nel 1982 era arrivata in finale perdendola solo all’ultimo tiro contro Cantù.

A Salonicco fu una tragedia in parte annunciata: squadra di veterani, l’Olimpia partiva piano, in ritardo, si metteva in forma nel corso della stagione. Inoltre i due americani, Bob McAdoo e Kenny Barlow erano arrivati a ridosso del via per sostituire Russ Schoene e Cedric Henderson. McAdoo era anziano, Barlow era un rookie. L’Olimpia era impreparata: fu travolta, senza energia, senza difesa da una squadra indemoniata in un ambiente impossibile. Nick Galis segnò 44 punti, all’intervallo l’Aris era già avanti 60-34 “Pensai che saremmo stati eliminati e che mi avrebbero licenziato – dice Dan Peterson – non dormivo e all’allenamento mi appoggiava al sostegno del canestro senza dire una parola”. Quello che disse alla squadra era di provare a vincere, anche di un punto, per salutare la Coppa dei Campioni in modo positivo. Aggiunse che se avessero voluto qualificarsi avrebbero dovuto farlo rimontando un punto al minuto, non tutto insieme, non con grandi parziali. La squadra eseguì e vinse di 34.

Fu una gara brutta, difensiva, sporca e cattiva. L’Olimpia rimontò gradualmente e poi negli ultimi cinque minuti quasi la giocò… in difesa. “Vincendo salvammo la carriera italiana di Bob McAdoo”, scherza Mike D’Antoni. Fino ad un certo punto: se fosse stata eliminata magari l’Olimpia avrebbe cambiato davvero perché “quel” McAdoo qui non era ancora diventato il grande Bob. Ma a fine partita fu lui ad abbracciare Dan Peterson di spalle. “Quando mi disse che loro ci credevano chiesi se fosse serio”, ricorda il Coach. Incredibilmente McAdoo disse che ci credevano perché avevano visto quant’era tranquillo l’allenatore. “Non ebbi il coraggio di dirgli che in effetti più che tranquillo ero rassegnato”!

 

HISTORY LESSON by COACH DAN PETERSON

Nel 1942-43 il Borletti Milano fece 13-7 e finì la stagione al quinto posto. Bisogna dire the tre della sette partite perse dall’Olimpia sono state perse per rinuncia.  Cioè, non disputate.  Era, come si sa, il periodo dei bombardamenti di Milano.  Quindi, il campionato è stato ovviamente falsato.  L’Olimpia non ha fatto tre trasferte: a Roma e due a Trieste, che aveva due squadre.  Difficile viaggiare sotto le bombe…

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