Riproduciamo l’articolo che il Capitano dell’Olimpia Enrico Castelli scrisse per il quotidiano “Il Littorale” il 21 febbraio 1936 dopo il primo scudetto vinto dal Borletti. Il primo titolo dell’Olimpia è datato 16 febbraio 1936: domani quindi ricorre l’80° anniversario di quel titolo. Allora non si parlava di Olimpia ma semplicemente di Borletti. In seguito venne comunque identificato in questo torneo il primo campionato dell’era Olimpia. Si ringrazi Giuseppe Marmina per la segnalazione.

Il campionato di pallacanestro è finito. Avremmo dovuto, come sempre, redigere uno stilizzato commento conclusivo sulla manifestazione; commento che, data l’evidente superiorità della squadra vincente e del collasso morale di quella che avrebbe dovuto essere la sua più diretta rivale, ben poco avrebbe potuto aggiungere a quanto abbiamo già avuto occasione di dire altre volte. Abbiamo perciò preferito lasciare la parola ad Enrico Castelli, capitano della squadra neo-campione d’Italia.

Sono cinque campionati che il Borletti ronza intorno allo scudetto ed era proprio ora che se ne impadronisse; se non altro per rompere la monotonia del binomio Roma -Triestina.

Ora che la mia squadra è arrivata al massimo titolo e che può assaporare con gioia la vittoria definitiva, vittoria che ha maggiore significato perché ottenuta dopo 5 anni di ostinato e faticoso assedio, è bello dare un’occhiata indietro e rievocare l’interminabile serie di partite.

Una moltitudine di ricordi si affaccia alla mente: speranze, tante; qualche illusione, qualche amarezza, ma soprattutto una costanza, una forza di volontà irriducibile nell’insistere nella lotta, modificando l’assetto della squadra, sempre col miraggio dello scudetto che sembrava irraggiungibile come una chimera.

Il Borletti è partito nel 1931, nell’autunno con la seguente formazione: Valli, Canerini, Castelli, Beretta Luigi, Besozzi, Paganella, Brusoni, Aureggi, Bottagisio. Della vecchia squadra solo tre siamo rimasti sulla breccia: al mio fianco sono infatti tuttora Brusoni e Paganella. A sostituire quelli che poco per volta ci hanno dovuto abbandonare, ecco Bottesini, Conti, Roscio ed in ultimo Grassetti e Marinone.​

Sangue nuovo, questo, ma il blocco, l’ossatura, il sistema di gioco, sempre quello. Il Borletti ha sempre avuto lo strano merito di imporsi come squadra fortissima in tutti gli incontri e extra-campionato: una volta giunto in finale del torneo per il titolo, lo scudetto prendeva invariabilmente il treno per Roma o per Trieste, lasciandoci con tanto di naso.​

Anche quest’anno io ed i miei compagni abbiamo incominciato, perfettamente intonati con la tradizione, vincendo il raduno internazionale di Pavia. Eliminate le squadre estere, lottammo strenuamente in una delle solite serrate contese con la Ginnastica Roma, uscendone vincitori per l’ormai fatidico puntarello.​

Tutto dunque si metteva in maniera tale da far pensare ad un campionato dei soliti. Infatti anche la scorsa stagione avevamo vinto, sempre contro la Roma, il torneo per la Coppa di S.A.R. il Duca di Bergamo, per poi finire con la squadra a pezzi nel corso del campionato.​

Quest’anno il campionato è stato iniziato ad andatura travolgente, a Torino, con una valanga di canestri: ma anche questa era ormai una consuetudine perché la mia squadra aveva sempre vinto a Torino con punteggi rilevantissimi. Poi difilato alcune abbastanza facili partite fino al primo capitolo di Trieste. Vincere a Trieste, lo sanno tutti, è una faccenda seria. Ma noi andammo a Trieste con un bottino di 17 punti di vantaggio per il quoziente dei canestri e per questo forse non ci preoccupammo tanto di vincere, quanto di assicurarci l’ingresso in finale.​

Si inizia la disputa del girone finale con la venuta a Milano della Roma, la Roma di quest’anno volubile e capricciosa. Noi eravamo preparati a sostenere una di quelle classiche partite che finiscono magari nei tempi supplementari.​

Invece, primo colpo alla tradizione, la Roma perde con un punteggio nettissimo.

Poi si va a Bologna, contro la Virtus che era reduce dalla magnifica vittoria di Trieste, che aveva sorpreso tutti. È questa la partita chiave del campionato, lo diciamo adesso, ma lo sapevamo anche prima di giocare.​

A Bologna abbiamo giocato una partita perfetta per intelligenza e condotta di gara; una partita quadrata e sicura, forse la migliore, perché aveva messo alla prova in modo decisivo le nostre energie e il nostro morale. Poi a Trieste, vittoria sudatissima, nei tempi supplementari, artefice massimo, per strana coincidenza, l’ex triestino Giassetti.

Ma a Roma la bistrattata tradizione riprende il suo ritmo normale; tempi supplementari e… il solito scarto di un punto. Partita estenuante, questa, giocata su un terreno infame e, non c’è bisogno di dirlo, lealissima.​

La Roma vince la battaglia della bandiera, il Borletti è sfortunato, ma mostra il suo valore. Il campionato è vostro, si dice, e a furia di sentirlo ripetere ce ne persuadiamo anche noi anzi tempo e disputiamo a Milano contro Virtus e G.U.F. Trieste due incontri non eccessivamente brillanti, sebbene vinti con un punteggio netto: si tira a campare alla meno peggio contro avversari che giocano il tutto per il tutto, tirando a tutta andatura quel poco che basta per conquistare con sicurezza la vittoria.

Ora la contesa è terminata. E sinceramente ho la convinzione che il Borletti abbia meritato quest’anno indiscutibilmente il titolo. Non è il caso che mi soffermi molto a parlare dei componenti la squadra, che sono tutti conosciutissimi dagli appassionati della pallacanestro e che meritano tutti una lode sincera​: Brusoni  infaticabile trascinatore; Paganella, giuocatore di gran classe; Giassetti, che si è amalgamato subito col nostro gioco e vi ha portato il contributo del suo indiscutibile valore; Marinone, ira di Dio di tutte le guardie per i suoi canestri di ripresa; Conti, il taurino compagno di coppia; Bottesini, il fedelissimo che quest’anno per diverse contingenze ha giocato poche volte, ma per il quale giova ricordare il motto del Duce: la Patria si serve anche facendo la sentinella ad un bidone di benzina. E poi devo ricordare ancora Roscio, cui il servizio militare ha impedito quest’anno di allenarsi e giocare efficacemente, e Besozzi sempre pronto sulla breccia.​

La squadra è ormai conosciuta ovunque ed è superfluo parlarne ora. Valli, compagno di squadra fino a due anni fa, alfiere dell’A.S.S.I., squadra imbattuta e imbattibile in Italia e fuori, ci è stato, più che allenatore, amico e tecnico appassionato.

Dobbiamo poi essere riconoscenti ai dirigenti del Borletti per i sacrifici morali e finanziari, ma soprattutto per aver avuto sempre fiducia in noi anche nelle ore, non troppo allegre: il presidente Cav. Ripa, il Cav. Malerba, tifoso irriducibile, il capitano Casoni, tifoso silente ed arcigno ma affezionatissimo, e tutti gli altri.​

Ed ora che la meta è raggiunta, una settimana di riposo e poi sotto di nuovo. Quest’anno c’è ben altro: vestire la maglia azzurra e difendere il nome della Patria nella grande competizione olimpica; questa è la più grande soddisfazione a cui ogni atleta aspira. Sotto quindi a lavorare perché le nostre aspirazioni, quelle di ogni atleta d’Italia, devono avere una sola meta: vincere per la Patria a Berlino.​

Condividi l’articolo con i tuoi amici e supporta la squadra

Condividi l’articolo con i tuoi amici e supporta la squadra

URL Copied to clipboard! icon-share