Massimo Masini arrivò a Milano dalla piccola Montecatini quando aveva 15 anni. A 21 da cambio di lusso aiutò l’Olimpia a diventare la prima squadra italiana a vincere la Coppa dei Campioni. A 71 anni con un fisico ancora perfetto, la parlata toscana e informatissimo su quanto accade nel pianeta Olimpia, il grande Masini ha assistito alla gara con il CSKA Mosca. “Ho scelto di venire a questa partita perché mi ricordava il 1966 quando battemmo il CSKA nella semifinale di Coppa dei Campioni. Poi a Bologna completammo l’opera battendo Praga. Giocare con quei campioni, con Bill Bradley è stata una magia”.
Masini ricorda cosa successe nel 1960. “Dopo una partita a Livorno, il Simmenthal mi voleva e mi portò via a Milano. Avevo 15 anni, ero un ragazzino”. Il resto è stata una carriera leggendaria. Masini è stato il primo pivot moderno, un centro che giocava anche sul perimetro. “Mi vedevano come un mostro. Io andavo contro Dino Meneghin ed erano battaglie. I derby con Varese valevano mezzo scudetto a quei tempi. La tensione era alle stelle. Rubini? Una volta nell’intervallo di un derby con l’All’Onestà che stavo giocando male andai da Cesare Rubini. Gli dissi di contare su di me nel secondo tempo. Mi rispose che non era il momento di fare esperimenti. Rubini era questo. Un motivatore, un padre”.
Masini dopo aver smesso di giocare (Rieti, Bologna, Pordenone) ha allenato con discreto successo a Montecatini e Desio soprattutto. Ha due figli e due nipoti, uno dei quali ha un annl ed è già alto e ben strutturato. “Diventa un giocatore. Sicuro”. Si intrattiene con Flavio Portaluppi “che allenai nella Nazionale militare” e con Dan Peterson. “Venni al Palalido con la Virtus Bologna e avevo Ferracini centro. Eravamo avanti nel punteggio e Ferracini faceva danni dentro l’area. Rubini spostò Masini in angoll e Massimo ci uccise con i suoi tiri in sospensione dall’angolo. Nessun centro a quei tempi tirava da fuori”, ricorda il Coach. “È il motivo per cui io e Kenney giocavamo bene assieme. Io facevo canestro e lui faceva a botte. Del nostro quintetto era l’unico che giocava un po’ vicino a canestro. Era un combattente. Una volta Brumatti per scherzare gli disse ‘Arturo la palla non è un’arancia da spremere, dovresti provare a metterla dentro quel cerchio‘. Ma una volta dopo una rissa in cui Pino si ruppe la mano, Art si presea rivincita. ‘Pino, certe cose lasciare fare ai duri te limitati a fare canestro’. Eravamo un grande gruppo”.
Masini lasciò l’Olimpia dopo 14 anni di milizia. “I giocatori – spiega – sono esseri umani e capita che reagiscano in modo impulsivo. Io seppi che Milano aveva promesso al nuovo Ferracini 20 minuti di spazio e mi innervosii. Tornassi indietro forse non lo farei ma alle volte ti senti in un certo modo ed esplodi”, spiega.

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