Mason Rocca ha giocato quattro anni a Milano; ha giocato finali scudetto, partite memorabili. Era in campo, decisivo, quando l’Olimpia vinse a Belgrado qualificandosi per le Top 16 di EuroLeague in una bolgia infernale. Era in campo e segnò 13 punti quando l’Olimpia debellò la resistenza del Real Madrid. Mason Rocca c’è stato tante volte. Non ha mai alzato un trofeo con la maglia dell’Olimpia e l’avrebbe meritato. Ma mai come in questo caso la statura di un personaggio non può essere misurata né con i centimetri (pochi per un centro ma abbastanza per dare all’Italia un’epica vittoria sulla Cina di Yao Ming) né con il numero di trofei vinti. Rocca lo misuri con l’amore della gente per lui, con il rispetto che si è conquistato (anche a Jesi e Napoli, naturalmente con la maglia azzurra). Con Rocca decisive sono sempre state le dimensioni del cuore. Con quello, con il cuore, il ragazzone di Evanston che si è laureato in un’università accademicamente tra le migliori al mondo come Princeton, che adesso insegna matematica in un liceo di Chicago, che ha costruito una casa a Jesi e può vantare una famiglia numerosissima e fantastica, cinque figli uno più bello dell’altro, con il cuore – dicevamo – Rocca è diventato Capitano dell’Olimpia, una delle pietre angolari della rinascita nell’era Armani e uno dei giocatori più apprezzati dell’epoca recente e perfettamente coerente, come comportamento, stile, amore per la maglia, con la tipologia del vero Capitano dell’Olimpia, del vero guerriero in maglia rossa come tanti prima di lui e qualcuno anche dopo di lui. Grazie Mason!

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