In Argentina lo chiamano “El Capitan”, il Capitano, simbolo, bandiera, un po’ tutto, ma soprattutto l’anello di congiunzione tra la “Golden Generation” che ha fatto diventare il basket argentino una superpotenza mondiale e la nuova frontiera rappresentata dai giocatori che hanno vinto l’argento ai Mondiali in Cina ottenendo anche la qualificazione alle Olimpiadi di Tokyo 2020. In Europa, Luis Alberto Scola è una figura leggendaria, la superstar che da giovane portava il Baskonia a lottare per vincere l’EuroLeague rinviando l’inevitabile approdo nella NBA, dove è rimasto otto anni, riuscendo nelle stesse cose che faceva da questa parte dell’oceano. Ora ha 39 anni, non porta più i capelli a caschetto dietro una fascetta nera, le tempie sono bianche, le rughe gli hanno scavato il volto. Ma sul campo è sempre il Re del piede perno, della finta, del gioco in post basso cui ha aggiunto con il tempo il tiro da tre oltre all’innata abilità nel leggere la reazione della difesa e ferirla con un passaggio.

Da dove cominciare con Luis Scola, El Capitan? Forse da Buenos Aires, capitale del calcio, il luogo dove lui decise di fare altro, di giocare a basket. Scelta strana? No, lo spiega lui stesso: “Anche l’Italia è un paese calcistico, ma si gioca una buona pallacanestro. L’Argentina è un paese calcistico, come ce ne sono tanti altri, ma c’è spazio anche per altri sport. Il basket sta andando bene nel nostro paese, ovviamente non ha la popolarità del calcio, ma stiamo facendo bene, abbiamo margini di miglioramento e potremo fare ancora meglio”. In fondo c’è un motivo se Luis Scola, un cestista, nel 2016 a Rio De Janeiro ha portato la bandiera durante la cerimonia di apertura. “E’ stato il momento più alto della mia carriera – racconta – La foto di me, con la bandiera e l’intera rappresentativa argentina dietro sintetizza da sola tutta la mia carriera. Qualsiasi cosa abbia fatto in campo dovrebbe essere menzionata dopo l’onore di aver portato la bandiera a Rio. E’ stato il risultato più importante che abbia ottenuto”. A maggior ragione perché quattro anni prima, a Pechino, fu Ginobili a ricevere l’onore.

Scola cominciò a giocare a Buenos Aires, emerse al Ferro Carril Oeste, che vinse tre titoli argentini negli anni ’80 e vinse anche il titolo sudamericano per club. E’ una società cestisticamente storica, ma Luis Scola è chiaramente il giocatore più famoso che ne abbia mai fatto parte. Solo che andò via per giocare in Spagna che era un teen-ager. Il passo successivo fu Vitoria, Paesi Baschi. “Il mio legame con Vitoria è speciale. Ho avuto la possibilità di stare lì tanti anni, e senza dubbio sono stati fondamentali per farmi crescere come persona. Anche come giocatore, ma soprattutto come persona. Il mio primo figlio è nato mentre ero a Vitoria. Le cose che ho fatto nella mia carriera, e nemmeno pensavo di essere in grado di fare, fanno di Vitoria un posto che per me sarà sempre speciale”.

A Vitoria, vinse il titolo spagnolo e giocò tre Final Four di EuroLeague consecutive, più una serie finale contro – di tutte le squadre – la Virtus di Ettore Messina nel 2001. Scola aveva 21 anni, ma era già una delle colonne della squadra insieme al connazionale Fabricio Oberto. Nella Virtus c’era Manu Ginobili. “Abbiamo avuto grandi stagioni di EuroLeague, raggiunto obiettivi, giocato le Final Four tre anni di fila. Penso che dovesse essere così, era il nostro destino, e ad un certo punto abbiamo dovuto guardare avanti, io sono andato nella NBA. Non era scritto, ma non ci penso tanto, non mi disturba, molte delle cose che abbiamo fatto equivalgono a vincere l’EuroLeague”, dice.

Quando decise di andare nella NBA, a Houston, aveva già 27 anni. Ed era già campione olimpico. “Abbiamo avuto un grande gruppo di giocatori, che giocavano bene insieme e che stavano bene insieme. Abbiamo fatto un bel po’ di rumore nel mondo del basket. Quella squadra sarà ricordata per sempre, ma abbiamo anche tante altre cose, giocatori nuovi da portare avanti, obiettivi da raggiungere nel futuro, dice Scola. Ad Atene, nel 2004, quando l’Argentina vinse il titolo, l’Italia arrivò seconda. Scola segnò 25 punti in finale. Top scorer. MVP di fatto. L’albiceleste fu anche la Nazionale che eliminò gli Stati Uniti in semifinale. Scola è il terzo oro olimpico a giocare a Milano dopo Bill Bradley che vinse a Tokyo 1964 e giocò a Milano nel 1966 e Hugo Sconochini che però giocò nell’Olimpia prima di vincere l’oro, sempre ad Atene.

Ma Scola è stato un vincente ovunque abbia giocato. Nella sua stagione da rookie, a Houston, i Rockets vinsero 22 partite di fila. “E’ stato divertente. Partivo dalla panchina, ma un giorno Yao Ming si è ammalato e io sono andato in quintetto. Quella è stata la prima di 22 vittorie consecutive. Sono stato fortunato. Chi è che va in quintetto e vince le sue prime 22 partite? Fino a quel momento ero stato un cambio, poi sono andato in quintetto e ci sono rimasto per i successivi sei anni”.

Nella NBA ha gradualmente aggiunto il tiro da tre al suo repertorio. Ma i cambiamenti – dice lui – sono necessari per sopravvivere e prosperare. “Quando sono venuto dall’Argentina in Europa ho dovuto adattarmi alle differenze. Lo stesso quando a Gijon dalla seconda divisione siamo andati in prima divisione in Spagna (era in prestito-ndr). Il gioco diventa più veloce, i giocatori più grossi, con più talento. A Vitoria ho debuttato in EuroLeague e ho dovuto cambiare ulteriormente, perché in EuroLeague ci sono le squadre migliori d’Europa e giocare è difficile. La NBA è completamente diversa. Le necessità di adattarsi ti segue per tutta la carriera. Anche il basket cambia, non solo il gioco, il basket e il modo in cui lo giochiamo. Devi essere costantemente in grado di adattarti e cambiare, il tuo gioco, il tuo fisico per stare al passo con quello che le novità ti lanciano addosso”. Un esempio: a Vitoria ebbe una tripla a segno in tutta la sua carriera di EuroLeague. A Milano ha segnato due triple nella sua prima partita dopo il ritorno dalla Cina dove ha trascorso gli ultimi due anni, “ad un livello non disprezzabile, giochi contro tanti giovani e gli americani sono giocatori che in Europa e qualche volta nella NBA sono stati stelle”.

Ma gli ultimi mesi sono stati incredibili per Scola. Prima la decisione di giocare una volta di più in Nazionale, in Coppa del Mondo. “Ero certo che avremmo fatto bene e che avrei giocato bene, perché sono un ottimista. Avevo anche parlato con Coach Messina, ma non era il momento giusto. Se non ci fossimo qualificati per le Olimpiadi mi sarei ritirato, ma quando ci siamo qualificati è stata mia moglie a dirmi che avrei dovuto andare avanti ancora una stagione. E allora ho guardato a tutte le opzioni e ho scelto Milano. Non so cosa aspettarmi, lavorerò duro, giocherò duro, cercherò di divertirmi. La cosa più importante per me è divertirmi ancora. A questo punto della mia carriera non sono obbligato a fare queste cose, a giocare ancora, stare in campo, guadagnare qualche soldo in più. Queste cose appartengono al passato. Lo faccio perché penso sarà divertente, mi dà un motivo per essere felice ogni giorno. Cercherò di vivere al massimo questa esperienza: è l’aspetto più importante. Naturalmente, per divertirsi bisogna fare le cose per bene. Se la squadra gioca bene, se io faccio bene, questo è ciò che renderebbe tutto più divertente”.

Infine ci saranno le Olimpiadi a Tokyo: “Per due o tre anni non ho neanche pensato che fosse possibile giocare nel 2020, era impensabile fino a due o tre anni fa. Non solo per la mia età, ma anche perché dovevamo qualificarci ed è sempre difficile. Anche negli anni in cui avevamo il nostro squadrone abbiamo sempre fatto fatica a qualificarci. E’ difficile nelle Americhe. Hai gli USA, il Brasile, il Canada, Portorico. Sono tutte squadre che giocano per pochi posti a disposizione. Adesso sono vicino a quel traguardo, non posso permettermi di guardare troppo avanti, cerco di non farlo e di pensare solo a quello che ho qui. Quando arriverà quel momento, certo, per me sarà speciale”. Sarebbero le sue quinte Olimpiadi. Come Oscar Schmidt. Attualmente è il quinto realizzatore di sempre nel torneo olimpico con 525 punti (ha un top di 37 contro la Russia nel 2008), due in più di Ginobili, solo otto meno del quarto posto di Wlamir e a 98 dal terzo di Pau Gasol. Come questi campioni, Scola è un esempio di longevità. Segreti? “Nessuno – risponde – mangio bene, dormo bene, mi alleno. Si tratta di essere sempre professionali”.

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