La mamma Fancy Pace è sempre stata un tipo duro. Per 21 anni ha lavorato nell’esercito e quando andò in pensione nel 2001 era un sergente di ferro. E’ una donna forte e doveva esserlo perché quando il figlio Cory nacque il giorno di Santo Stefano del 1990, quello che aveva davanti era il neonato più lungo e grosso che a Tacoma, nello stato di Washington, incollata a Seattle, avessero mai visto. Dovette essere ancora più forte nel 2003 quando perse il marito. Il figlio aveva 13 anni ed era una promessa nel basket. La famiglia si era già trasferita da tempo nel Texas. Cory si fece tatuare le iniziali CJ. Ma non stanno per Cory Jefferson bensì per Charles Jefferson. Il padre.

Cory Jefferson viene da Killeen, in Texas, dove ebbe una carriera scolastica stellare vincendo quattro titoli consecutivi, confezionando tre stagioni da 30 vittorie e diventando Giocatore dell’anno in Texas prima che tra le innumerevoli proposte di borsa di studio scegliesse Baylor, a Waco, sempre in Texas. Per due stagioni ha giocato poco e imparato tanto, nel 2012/13 da junior però ha trascinato la squadra alla vittoria nel NIT, segnando almeno venti punti nelle ultime tre gare. Sulla scia di quelle prestazioni, scartata l’ipotesi di dichiararsi per il draft con un anno di anticipo, Jefferson ha completato una grande carriera a Baylor: quarto di sempre nelle stppate, quarto nelle doppie doppie e nono nei rimbalzi. Nel suo ultimo anno ha piazzato 14 doppie doppie. A quei tempi era considerato strettamente un giocatore interno. “In realtà – ha dichiarato a “GoSpursGo” quando giocava nella squadra di D-League affiliata a San Antonio – ho sempre avuto un buon tiro da fuori ma ho sempre rispettato il ruolo che mi era stato chiesto di interpretare. Ad Austin ho avuto la possibilità di esprimermi liberamente”. “Ha grande atletismo e la versatilità per giocare tutto attorno all’area – ha detto il suo coach agli Austin Spurs, Ken McDonald – ma ha mostrato consistenti progressi nel tiro da fuori”.

Jefferson è stato l’ultimo giocatore scelto nei draft del 2014. Numero 60. Fu il suo coach al college Scott Drew a spiegare i motivi di un chiamata tardiva. “Volevano che accettasse di andare in Europa anziché cimentarsi subito nella NBA. Lui ha rifiutato e loro non l’hanno scelto”, disse. Fu proprio San Antonio a fare il suo nome ma il sogno di giocare per la sua franchigia preferita morì all’alba. Venne ceduto subito a Brooklyn. In realtà a San Antonio lo seguivano davvero. Dopo aver giocato a Brooklyn e poi a Phoenix (contro cui ha prodotto una doppia doppia giocando per i Nets), con un training camp a Cleveland, gli Spurs l’hanno richiamato nella loro organizzazione dislocandolo a Austin, circa 80 chilometri da dove è cresciuto. Era nel roster degli Spurs per le summer league quando ha deciso di venire a Milano.

Lo scorso anno a Austin ebbe 15.4 punti e 8.4 rimbalzi di media, venne convocato per l’All-Star Game della seconda lega, tirando con l’81.4% dalla lunetta e il 38.4% da tre con 86 tiri in 42 partite. In quel periodo era già stato seguito dall’Olimpia, ma la sua stagione è terminata nella Filippine, negli Alaska Aces dove ha dominato con 29.5 punti e 14.0 rimbalzi di media. E anche lì ha mostrato al suo proverbiale atletismo una confidenza con il tiro dalla lunga distanza in costante crescita.

E’ un debuttante in Europa, Jefferson, ma ha giocato 58 partite nella NBA, ha vinto 107 partite a Baylor, più di chiunque altro, in un programma che ha prodotto star dappertutto (Curtis Jerrells, Quincy Miller e Pierre Jackson del Maccabi, Quincy Acy che gioca nella NBA, Perry Jones che è stato una prima scelta), con cui ha giocato tre Tornei NCAA e vinto un NIT da protagonista. E’ stato un All-Star nella seconda lega americana; ha giocato le Universiadi. Una cosa è certa: è pronto.

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