Oggi, 2 novembre, Cesare Rubini avrebbe compiuto 90 anni. Il Principe Rubini, com’era soprannominato, è stato con Adolfo Bogoncelli, il Bogos per gli estimatori e conoscenti dell’epoca, il grande padrino del basket milanese e probabilmente italiano. Nato a Trieste, diventò al tempo stesso un fenomeno nella pallanuoto e nella pallacanestro. In piscina vinse la medaglia d’oro olimpica a Londra 1948 e quella di bronzo a Helsinki, nel 1952. Era essenzialmente – dicono – un difensore arcigno, un combattente furbo, un giocatore fisico. Le stesse doti le portava sul campo di basket, dove però la tecnica è più raffinata e lo spirito competitivo non sempre è sufficiente. Nel ’48 poteva giocare le Olimpiadi anche nel basket, ma scelse la pallanuoto perché – giustamente – aveva la possibilità concreta di salire sul podio. Il “Settebello” vinse addirittura l’oro. Ma se nella pallanuoto è stato grandissimo, così grande da meritarsi l’inclusione nella Hall of Fame di Fort Lauderdale, al basket ha legato la sua vita. Quando pronunciò il suo discorso di ingresso nella Hall of Fame di Springfield disse che per lui era stato un modo di vivere. Infatti smise di frequentare la pallanuoto quando cessò di giocare ma non si staccò mai dal basket. E se nella pallanuoto aveva legato la sua calottina numero 5 a tante squadre diverse, nel basket Rubini è stato l’Olimpia.

Lo chiamò Bogoncelli, il grande inventore del club tra le due guerre, il dopolavoro Borletti e la sua Triestina, e gli affidò le chiavi tecniche della squadra. Era il 1947, il suo momento atletico di massimo splendore. Rubini giocava e allenava. Lo fece fino al 1957 quando smise di giocare ma non certo di allenare e soprattutto di vincere. Andò avanti fino al 1973 in pratica quando si chiuse l’era Simmenthal, prima degli anni bui che non furono suoi. Il binomio con Sandro Gamba che aveva dato tante vittorie all’Olimpia venne replicato in Nazionale anche se questa volta Rubini stava davvero al fianco del sergente di ferro di via Washington che lui stesso – Rubini – reclutò su un playground portandolo all’Olimpia e trasformando un’intuizione in una mossa che definì una storia.

Rubini era un duro in campo, era un duro come allenatore, un vincente. Non si considerava un grande tecnico e ancora meno uno stratega. Scelse Gamba come braccio destro (ma anche Dido Guerrieri) per questo motivo. Lui era carismatico, furbo, un personaggio, un motivatore. Ma anche un grande riconoscitore di talenti, basta guardare alla sequenza di fenomeni che sono arrivati all’Olimpia. Tra gli stranieri Bill Bradley o Skip Thoren, Arthur Kenney, Robbins e altri; tra gli italiani Riminucci, Iellini, Pieri, Brumatti, Masini, Bariviera e si potrebbe proseguire. Scelse Pieri quando questi gli segnò 34 punti giocando pivot a Trieste. Quando arrivò lo trasformò in un playmaker moderno, per fisico e statura. All’inizio Pieri andò in confusione, disse che forse volevano anche cederlo dopo il primo anno poi diventò un genio. E da lui Iellini e poi si entra nell’era D’Antoni, che è il basket moderno ma ricalca la linea sottile che percorre la storia dell’Olimpia. E Rubini è dappertutto. E’ nella prima Coppa dei Campioni, è in due Coppe delle Coppe, è negli epici duelli con Pedro Ferrandiz, condottiero del Real Madrid che gli portò via il “back to back” in Coppa dei Campioni che sarebbe riusciti circa vent’anni dopo, è nei leggendari spareggi con Varese, il primo risolto a tavolino a favore dell’Olimpia per il caso Gennari (giocò in posizione giudicata irregolare nell’Ignis), i tre consecutivi d’inizio anni ’70, uno dei quali a Kenney non è ancora andato giù.

“Noi giovani allenatori milanesi andavamo al Palalido ed era un frastuono di luci, una festa poi all’improvviso calava il silenzio. C’era un time-out e tutti volevano sapere cosa dicesse Rubini”, ha raccontato Valerio Bianchini alla presentazione al Coni di un libro (“Indimenticabile”) che ne ricorda la vita, voluto da Don Mario Zaninelli, che era legato al Principe da vincoli affettivi, praticamente familiari. Rubini è morto nel febbraio del 2011, a 87 anni compiuti. Ma nella storia c’era entrato da tempo, da decenni. E per l’Olimpia è sempre e solo Rubini. Per questo oggi, 2 novembre 2013, lo celebriamo.

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